Descrizione
“In una città stravolta e allucinata, in cui ogni cosa si confonde e chiunque è sostituibile, i protagonisti di queste storie conducono ciascuno un’inchiesta misteriosa e dall’esito imprevedibile. Tutto può cominciare con una telefonata nel cuore della notte, come nel caso di Daniel Quinn (Città di vetro), autore di romanzi polizieschi che accetta la sfida che gli si presenta e si cala nei panni di uno sconosciuto detective. Ma può anche capitare che chi debba pedinare si senta a sua volta pedinato (Fantasmi); o, ancora, che ci sia qualcuno che s’immedesima a tal punto nella vita di un amico da sposarne la vedova e adottarne il figlio (La stanza chiusa). Tre detective-stories eccentriche e avvincenti in cui Paul Auster inventa una sua New York fantastica, un «nessun luogo» in cui ciascuno può ritrovarsi e perdersi all’infinito. Ed è proprio nell’invenzione di questa solitudine che i personaggi della Trilogia misurano il proprio io e scoprono il loro vero destino.”IBS
Prima sorpresa: Le copertine.
I tre racconti, CITY OF GLASS, GHOSTS, THE LOCKED ROOM apparentemente separati, nella copertina dell’edizione Penguin Deluxe, hanno copertine schematiche, abbozzate, colorate, stilizzate, con silhouette di uomini, occhi, impermeabili da detective con cappello a falde larghe alla Bogart.
Penne grondanti parole, esperienze di vita e pensieri, più o meno contorti. E’ tutto un “guardare”, uno “spiare” in queste immagini: dalle finestre, dall’angolo del palazzo, seminascosti dalla mano da cui sembra cadere una penna, già in equilibrio molto precario.
Parti di corpi indefinite: Clarks ai piedi di un qualcuno, fermo in attesa. Piedi, mani occhi. Tutti i sensi vengono coinvolti nella lettura e nell’interpretazione. La vista domina, colori, anche nei nomi, Blu, Brown, Red, Dark, Pink. Esiste una corrispondenza tra il nome ed il colore?
Ogni copertina lascia intuire qualcosa dei contenuti, prima della lettura: mistero, ricerca, sofferenza della scrittura, viaggi… interni ed esterni al corpo e all’anima.
Tra colori e mappe
Tra colori e mappe che alludono a codici segreti Browniani (ancora un colore nel nome!) tanto di moda, giù tra i blocks di Manhattan ai quali Quinn attribuisce significati mitici, Miltoniani…
Quale immobilismo nelle storie di Peter Stillman (magico inglese: uomo immobile, nomen omen, direbbero i latini), di Mr Blue/White, dell’ultimo narratore: lo stesso Paul Auster?
Storie e personaggi sembrano essere tutti punti di una circonferenza, ruote che girano in tondo per tornare sempre al punto di partenza, con qualche “giro” in più sulle spalle.
Altro che concetto del doppio! Qui siamo di fronte a patologiche entità multiple e cangianti, sebbene unite dallo stesso, famelico bisogno di scoprire la propria identità, il proprio posto nel mondo.
E tornano da questo mondo eroi del passato: William Wilson sbuca dalle pagine di Poe, da quelle di Defoe spuntano Robinson/Selkirk/British Middle Class, da Cervantes/Don Quixote; Ellery Quinn spunta dalle storie poliziesche e presta il suo nome all’investigatore Paul/Quinn? E Peter Nobody? tra Moralities e Ulisse/Nessuno Omerico.
Nascere, morire, rinascere per nascondersi e rinascere ancora nella storia letteraria. Incubi o realtà, il sesso sognato, vissuto, temuto, un bel viaggio psicoanalitico tra doppie personalità, conflitti madre-figlio, desiderio di distruggere, distruggersi, latenti suggestioni omosessuali. Fantasmi del passato e ombre nel presente, camere chiuse per punire-punirsi.
Città
Città trasparenti, da agognare e vivere nel più totale distacco barbonesco. Non parlerò di New York. Certo che nel leggere della Manhattan anni ’80 non ho potuto evitare di cercare avidamente cenni alla stanza 13 del Dorm nella NYU, 3rd Street…
Il Village, poi, quel welfare party a casa di Philip, nostro mentore newyorkese, 100 Bleecker Street.
Lì ho salutato NY, in una serata bella, nostalgica, un po’ triste, con addosso la sgradevole sensazione di aver perso qualcosa, qualche grande opportunità di vita, in quella umida estate di tombini fumanti, caldo soffocante e ambienti gelidi con aria condizionata al massimo, e ovviamente abbigliamento inadeguato.
Tanti cockroaches ed inefficaci interventi di exterminators: odore di Baygon ancora nelle narici e nella memoria. Che angoscia!!! Persino nel letto del dormitory della NYU (New York University) dove vivevo sepolta tra libri, scartoffie e seminari.
Tanto stress ed un profondo desiderio di cancellare il passato, ma senza essere in grado di vivere il presente e godermelo a NY (mi sto identificando con i personaggi di Auster?)
Il giro in giostra
L’inizio della lettura è stato faticoso, poi sono salita in giostra e ho capito che dovevo completare il giro per tornare al punto di partenza e dirmi la verità. E’ vero, è scritto superbamente; ti fa perdere nella frammentarietà di nomi e situazioni nei tre racconti, o capitoli, per farti poi ritrovare a Parigi, nei suoi locali tipici, spinto “razionalmente” dall’inconscio.
Oggetti e filo rosso
Il taccuino rosso, scritto fitto fitto, al buio, nell’isolamento più totale e finalmente fatto a pezzi alla fine del viaggio. Distrutto con tutte le sue folli violenze: piccoli coriandoli di vita gettati in un cestino.
Le scatole, piene di libri e abiti… ricordi ingombranti. Vincoli soffocanti.
La finestra quasi Hitchcock. Io guardo te che guardi me che guardo te…
Le stazioni, le città (meravigliose ed inquietanti New York e Boston), I colori, primari e tuttavia sfumati.
Cosa ne pensano quelli importanti
Prefazione di Luc Sante, 2006 (prima parte. Se volete leggerla tutta vi rimando all’edizione citata):
“Paul Auster has the key to the city. He has not, as far as I know, been presented with the literary object, traditionally an oversized five-pound gold-plated item, dispensed to visiting benefactors and favored natives on a dais in front of City Hall by a functionary in top hat and claw hammer coat, but I doubt he needs one of those.
Auster’s key is like the key to dreams or the key to the highway. It is an alchemical passe-partout that allows him to see through walls. And around corners, that permits him entry to corridors and substrata and sealed houses nobody else notices, as well as to field of variegated phenomena once considered discrete, but whose coherence Auster has established.
This territory is a realm within New York City, a current that runs along its streets, within its office buildings and apartment houses and helter-skelter through its parks- a force field charged by sincronicity and overlap, perhaps invisible but inarguably there, although it was never identified as such before Auster planted his flag…”
Some Praises from Around the World
“By turning the mystery novel inside out, Auster may have initiated a whole new round of storytelling.” The Village Voice (USA)
“A stunning, hypnotic book… Auster’s virtuosic storytelling achieves a tone at once passionate and detached, and the result is as curious as its convincing.” The Glasgow Herald ( Scotland)
“breathtakingly intense and nerve-wracking book, a game of life and death…This is strong stuff-hold onto your seat!” Elstra Bladet (Denmark)
“Paul Auster has written a sublime and clear-as-glass book, a book of almost frightening transparency and openness, a crystal that refracts light into colors that have rarely been seen before.” Jan Kjaerstad (Norway)
E io? Io penso che
sono contenta di averlo letto, ora capisco perché è stato compagno fedele di molte persone in crisi!
Mi piace l’opportunità che mi ha offerto, come è accaduto con altri romanzi, di incontrare figure letterarie note e di riposizionarle nella rete del mio immaginario e delle mie conoscenze. Mi piace molto la struttura che mi aiuta a superare la mia diffidenza per i racconti brevi, grazie ai legami di senso e di lingua che crea tra le varie tappe/racconti.
Mi piace quel senso di confusione che viene istillato nel lettore da un narratore, forse “inaffidabile”. Chi sta parlando ora? Chi ha parlato prima? Potrei essere io? E’ quasi un accompagnare il lettore verso l’identificazione multipla. Una delle identità che mi ha catturato è quella di “colui che scrive”, scrive di sé, degli altri, del futuro e del passato.
Scrive anche le folli idee che, momento per momento, senza ordine e logica, saltano sulla punta della penna. Un continuo “moment of being” alla Woolf. Il tutto in un linguaggio chiaro, efficace, popolare e consistente che, tuttavia, va letto con estrema attenzione in modalità back and forward continua.
More food for thought
City of Glass: a case which involves Quinn much more deeply than he had ever thought, I wonder why…
Ghosts: Who is stalking who?
The Locked Room: What really happened? And what will happen next?
Un pensiero riguardo “P. Auster-THE NEW YORK TRILOGY. Who’s Who? Patologiche entità multiple”
I commenti sono chiusi.