Emozioni incrociate con Arslan e Jelloun

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Arrivo sempre in ritardo… ma arrivo. I libri che hanno scosso l’anima di migliaia di persone entrano nel mio mondo anni dopo l’assordante eco editoriale che li accompagna alla loro prima uscita. Io scelgo di leggerli nel silenzio di transizione,  tra un exploit e l’altro, tra un interesse gigantesco e la sua rinascita, quando voglio o quando il caso mi porta davanti al magico oggetto, magari in un affollato supermercato cittadino, mentre faccio la spesa, tra cibi, gadget, giocattoli e inutile merce di vario tipo.

Gente, confusione odori ed ecco lì insieme i due libri. Li afferro e li getto nel carrello, non con violenza, ma con decisione. E comincio con Il razzismo spiegato a mia figlia di Tahar Ben  Jelloun. L’edizione è aggiornata con quanto sta accadendo in Francia e in Italia in questi giorni. Divoro le parole per andare avanti e scoprire qualcosa di particolarmente interessante.

Procedo un po’ delusa: concetti ripetuti e ripetuti, anche con le stesse parole. Mi stancano. Ma alla fine capisco che forse “repetita iuvant”. A dire il vero aiutano anche me.  Aiuterebbero molto i bambini e i maestri se il libro fosse letto e spiegato e drammatizzato a scuola.

L’approccio ”pedagogico” al razzismo, come suggerisce l’autore, è forse l’unica vera arma per formare coscienze rispettose dei diritti di tutti e dei doveri di ciascuno. Mi piace segnalare l’anello che unisce il libro e il suo contenuto alla Masseria delle Allodole di Arslan. O meglio l’anello che io ho visto scintillare davanti ai miei occhi, leggendo i due libri, in sequenza. E’ il padre che parla alla sua bambina:

“Stammi bene a sentire, figlia mia: le razze umane non esistono. Esiste un genere umano nel quale ci sono uomini e donne, persone di colore, di alta statura o di statura bassa, con attitudini differenti e variate. E poi ci sono molte razze animali. La parola razza non ha una base scientifica. E’ stata usata per mettere in evidenza gli effetti di diversità apparenti, cioè di fisionomia, che non devono creare divisioni tra gli uomini. Non si ha diritto di basarsi su tali differenze fisiche- il colore della pelle, la statura, i tratti del viso-per dividere l’umanità in modo gerarchico. In altre parole, non si ha diritto di credere che per il fatto di essere di pelle bianca uno abbia delle qualità in più rispetto a una persona di colore. Ti propongo di non utilizzare più la parola “razza”. E’ stata a tal punto strumentalizzata da gente malintenzionata che è meglio sostituirla con l’espressione “genere umano”(pp 56-57)

Usiamo con cautela le parole, possono essere pesanti. Non mi piace la definizione “Commissione stranieri” che in molte scuole si occupa di sostenere gli studenti non italofoni, provenienti da altri paesi. Non mi piace perché già nel nome mostra una tendenza pericolosa ad etichettare un gruppo e, in qualche modo, a marginalizzarlo, sebbene le intenzioni “pedagogiche” siano invece esattamente l’opposto. Capisco che la necessità di sintetizzare sia importante e che la prima parola che affiora nella mente di chi deve operare in questo ambito sia “stranieri”, ma riflettendoci un po’ capiamo che nel gruppo di studenti che la scuola vuole aiutare a migliorare ci sono anche persone che non sono straniere, che magari sono nate in Italia o che vivono ormai qui da anni. Potremmo usare altre parole per individuare questo gruppo di persone? “Commissione Interculturalità” può  funzionare?

A proposito di “velocità”, entriamo ora nel mondo di Antonia Arslan.

ARSLAN-MASSERIA

 

Vite vite! Velocemente si dipana la storia  in un incalzante ritmo sincopato. Vite vite! Velocemente vanno “verso il nulla” migliaia di anime. Vite vite! Pochi superstiti, sopravvissuti alla loro stessa voglia, lentamente alimentata, di lasciarsi andare al torpore doloroso, verso il giardino del Paradiso.

Vite vite! Ingoio l’ansia polverosa, l’angoscia soffocante che le tue parole mi trasmettono, Antonia! Ma assaporo lentamente le delizie delle tue immagini dei tempi di pace e serenità e vivo gli odori di fiori e di cibo prelibato e sento sulla mia pelle il morbido drappo rosso di damasco, regalo di Zaleh a Azniv. Coperta avvolgente che la dolce fanciulla ha usato come giaciglio confortevole e rassicurante nel viaggio di morte verso il nulla.

“ O sirun sirun…” cantava Ismene la notte prima della fuga. “ O sirun sirun…” cantava Azniv nel momento del sacrificio, con la speranza che i pochi rimasti della sua grande famiglia riuscissero a “volare” verso la salvezza su una carrozza dallo stemma dorato di Francia…

La notte dei preparativi i bambini vengono pietosamente illusi con un’immagine di festa e di  viaggio:

 “ il viaggio avventuroso che faremo, per incontrarci coi vostri papà. Qui arriva la guerra, noi faremo come i pionieri d’ America…”

E’ Sushanig che parla, la Madre che conforta e rassicura, anche se la sua mente è affaticata e sofferente è il cuore.

Il narratore prosegue e dice:

“Alle onde del mare che vengono e vanno già si affida questo popolo mite e laborioso. Nessuno pensa in verità che ritornerà alla propria casa: tutti già sentono intorno l’avidità degli altri, i compatrioti non segnati dal destino, quelli che sono della giusta razza e religione, e s’impossesseranno dei loro beni, dei campi e delle case, delle botteghe e dei frutteti opulenti. E tuttavia dal cerchio maledetto riusciranno  a sfuggire, ne sono certi, e le braccia salde, sostenute dagli animi coraggiosi, ricostruiranno altrove.”(126).

Questo libro è un gioiello. Uno di quei rubini e zaffiri che, scintillando, hanno dato momentanea salvezza a qualche buona anima. E’ un gioiello che con la sua forza, durezza e resistenza, apre una profonda breccia nel mio cuore.

Le donne e i bambini nella storia sono gioielli di rara bellezza e intensità. Sono il presente salvato e il futuro reso possibile, anche tra i miasmi mortiferi della fuga.

“Anni Venti: storia di una famiglia che vive in Armenia e che in attesa dell’arrivo di parenti trasferiti in Italia restaura una masseria per accoglierli. Ma la guerra e il genocidio sotto cui soccomberà il popolo armeno faranno sì che l’incontro con questi familiari italiani non avverrà mai. Sarà anzi uno dei più giovani, unico maschio sopravvissuto, a raggiungere l’Italia e a dare inizio a una speranza per la famiglia e il popolo che rappresenta.” Descrizione IBS