S. Abulhawa-MORNINGS IN JENIN. Un viaggio umano e poetico tra i profughi di Palestina. Essere Ebrei, essere Palestinesi

mornings in Jenin

A Thea, che mi ha consigliato questo intenso  romanzo.

La storia

“Palestine 1941. In the small village of Ein Hod a father leads a procession of his family and workers through the olive groves. As they move through the trees the green fruits drop onto the orchard floor; the ancient cycle of the seasons providing another bountiful harvest.

Palestine 1948. The Abulheja family are forcibly removed from their ancestral home in Ein Hod and sent to live in a refugee camp in Jenin. Through Amal, the bright granddaughter of the patriarch, we witness the stories of her brothers: one, as stolen boy who becomes an Israeli soldier; the other who is sacrificing everything for the Palestinian cause will become his enemy.

Amal’s own dramatic story threads it’s way through six decades of Palestine-Israeli tension, eventually taking her into exile in Pennsylvania in America. Amal’s is a story of love and loss, of childhood, marriage, parenthood, and finally the need to share her history with her daughter, to preserve the greatest love she has. Richly told and full of humanity, Mornings in Jenin forces us to take a fresh look of one of the defining political conflicts of our time. It is an extraordinary debut.” Susan Abulhawa’s website

 Mia cara Thea,

mentre mi tuffo nell’intensità di Mornings in Jenin, non riesco a non pensare a quante cose di te e della tua esperienza personale possano esserci dentro i sogni, le speranze, i dubbi e i conflitti dei protagonisti della vicenda narrata. Più volte ho dovuto smettere di leggere per “cause di forza maggiore”, ovvero delle lacrime che mi appannavano gli occhi e mi impedivano di distinguere le lettere nelle parole.

E non sto parlando di uno di quei libri, in cui fortunatamente inciampo di rado e che definisco ”polpettoni melodrammatici”. Parlo invece della storia di Amal e della sua famiglia, che si intreccia con quella della Palestina, di Israele, e dell’ intero  Medio Oriente, storia che ci sta toccando tutti tanto da vicino e dolorosamente.

Parlo della storia di bambine spensierate, che giocano felicemente con giocattoli rotti raccolti per strada, come la mutilata bambola WARDA con cui costruiscono un piccolo mondo di fiaba.

Parlo di giochi all’aria aperta tra le strade di un villaggio felice, Ein Hod pre-invasione.

Parlo di sogni coltivati sul tetto di casa, sdraiate a guardare la luna in cielo.

Parlo delle prime “cotte” da adolescenti, di amori appassionati, di lettere d’amore di intensità indicibile, di incontri casuali e fatali. Di fratelli divisi, di madri doloranti e segnate a vita da azioni senza senso, o meglio, con un senso di violenza inusitato.

Parlo di uomini e donne forti, di madri amorose, di poesia. La poesia e la letteratura si affacciano spesso tra le pagine del romanzo, come la bellissima poesia di Khalil Gibran su figli-frecce e genitori-archi e i racconti dell’alba del dolce papà Baba,

“I have never known a more tender time than the dawn, coming with the smell of honey apple tobacco and the dazzling words of Abu-Hayyan, Khalil Gibran, al-Maarri, Rumi. I did not always understand what they wrote, but their verses were hypnotic and lyrical.Through them I felt my father’s passions, his losses, his heartaches, and his loves. He passed all of that to me. This great gift from Baba was something no one could take away…”p.61

Baba ha l’ossessione della cultura e dei libri e ha in mente un disegno preciso: far proseguire gli studi ad Amal, costi quel che costi:

“Your father would have wanted this for you” he (Haj Salem)said, challenging my most tender sympathies. “Everyone knows that you have inherited your father’s love of books and it seems you are too far ahead to take more profit from our schools.”

E così Amal, orfana palestinese, grazie ai suoi eccezionali voti scolastici, viene mandata a Philadelfia, in un orfonotrofio che di  giorno è  un’istituzione accademica di grande qualità.

Visita ad Ari Palmstein

Fratelli ritrovati, Amal e David-Ismael,  e cugini ritrovati, Sara e Jacob,  si recano a far visita al grande amico di Baba, l’israeliano  Ari, a cui  Baba ha salvato la vita:

“…we were three generations hauled together by the wilful drag of a foreclosed story swindled by fate but gathered in that moment to demand to be told. The story of one family in an obscure village, visited one day by a history that was not in its own, and forever trapped by longing between roots and soil. It was a trale of war, its chilling, burning, and chilling again fire. Of furious love and a suicide bomber. Of a girl who escaped her destiny to become a word drained of its meaning. Of grown children sifting through the madness to find their relevance. Of a truth that pushed its way through lies, emerging from a crack, a scar, in a man’s face.”p.284

Quanta poesia, quanto bisogno di ritrovare se stessi e un posto che ti accolga; quanto bisogno di coltivare terra e cultura! Storia di perseguitati in Europa, reclusi, uccisi, violentati nei lager nazisti; storia di Palestinesi cacciati dalle loro case, da un giorno all’altro e costretti a vivere in campi improvvisati prima e poi, in una regolarità paradossalmente più accettabile, in campi profughi in cui compare anche un osservatore ONU. Bella la figura di O’Malley che diventa anch’egli membro volontario di una comunità che diventerà sua, per la vita, oltre il mandato ONU. Che storie! Identità violate, perdute e ritrovate. Ricerca di un’ identità che preservi le tradizioni e le radici, senza farne un mito o un’ideologia devastante.

 Come mi ha colpito il rapporto tra Dalia, “The no-good bedouin girl”-adolescente ribelle-madre tormentata e dolente, e Amal la figlia tanto amata, silenziosamente. È un rapporto conflittuale tra due donne che non sanno o non vogliono o non possono gestire i loro sentimenti e mostrare le loro debolezze davanti agli altri e davanti a se stesse. E allora si rinchiudono sempre di più, come ricci. Fino alla follia e alla morte per Dalia, a cui hanno rubato il piccolo Ismael e con lui la felicità e la vita.

Amal, più o meno consapevolmente ripercorre la strada della madre. Ha perso il suo grande amore Majid, colto dalle bombe israeliane su Beirut, mentre cercava di trovare nel letto nuziale, un attimo di sollievo da turni terribili nel piccolo ospedale da campo, dove donne, bambini, uomini vecchi e giovani, si accatastano tra fiumi di sangue.

Come mi ha commosso l’incontro in cui Ismael-David e Amal si ritrovano! Essere Ebrei ed essere Arabi, contemporaneamente. Che sorpresa, si può! Questa tragedia degli equivoci, mette in evidenza quella che sembra essere una banalità: ma perché si continua ad odiarsi, a sentirsi unici in una ”razza” che non deve mischiarsi con altre? Perché, se poi siamo così sovrapponibili, così “umani”? Così simili negli affetti e nelle violenze. Perché?

Alla fine del libro David-Ismael ne parla in questi termini:

“Yesterday I was there, and Osama remarked how our children(Jacob e Mansour)live like siblings together in your(Sara’s)Pennsylvania home. One American, one Israeli, and one Palestinian. “How nice that is”, Huda said, her tiger eyes the prettiest I have ever seen. “yes indeed”I said, inhaling the smoke of honey apple tobacco. Love David….Love Ismael.”p.321

Luoghi

Ein Hod è il villaggio natale della famiglia Abulheja, dal quale viene violentemente cacciata da Ebrei israeliani in cerca di un loro habitat a cui sentono di avere diritto. Ma quali sono i diritti e di chi?

“So it was that eight centuries after its founding .by a general of Saladin’s army in 1189a.d., Ein Hod was cleared of their Palestinian children[…]Yehya tried to calculate the number og generations who had lived and died in that village and he came up with forty[…]forty generations of living, now stolen…”p.34

Jenin, luogo fisico e dell’anima. è la protagonista di una storia che nel corso di circa sei decenni vede avvicendarsi eventi e protagonisti di una storia complessa che, ancora oggi non riesce a trovare soluzione. Luoghi dell’infanzia dei bimbi e del mondo, dove a fatica si cerca una convivenza pacifica e rispettosa. Palestina, Israele, Medio Oriente; luoghi della Libertà, dove puoi vivere in relativa tranquillità, come l’America, Filadelfia. Mah. Forse. Cosa sta succedendo oggi nei rapporti tra neri e bianchi d’America? In questo periodo sembra come se tanti fuochi sotto la cenere stiano ravvivandosi, incendiando città e comunità.

 Discorso e punto di vista

La narrazione in prima persona, come sempre, coinvolge il lettore in un abbraccio empatico, che a tratti spezza il respiro. La struttura circolare della storia ha qualcosa di antico, di ricorsivo nel discorso così come ricorrono nella vita storie, eventi, emozioni e tragedie.

Inizio e fine della storia si incontrano nel gioco di sguardi, di silenzi, di paura e di coraggio, tra Amal e il giovane soldato israeliano con le lenti a contatto. E forse, la fine sarà l’inizio di un nuovo libro, di una storia che continua…

L’edizione Bloomsbury

Alla fine del libro troviamo due elementi di grande interesse:

il glossario minimo dei termini arabi, la cui comprensione è essenziale per cogliere l’essenza del “lessico famigliare”;

reading tasks che guidano il lettore alla riflessione e alla comprensione del testo. Questa sezione mette in evidenza l’aspetto “pedagogico” della storia che io immagino rivolto a giovani studenti e a coloro che vogliono fare della lettura uno strumento di riflessione su temi chiave della storia, anche per mettere un po’ di ordine nelle forti emozioni suscitate dai tragici eventi narrati.

Alla fine vengono suggerite alcune letture che hanno ispirato l’autrice e l’editore, tra queste i due capolavori di Khaled Hosseini: Il cacciatore di aquiloni e Mille splendidi Soli. (link alle recensioni di affascinailtuocuore)


Lo sguardo “caustico” di Robert Fisk

In Pity the Nation: The Abduction of Lebanon Robert Fisk “racconta” le bombe israeliane su Beirut (219 e 224-225). Non li riporto perchè ho scelto di condividere altri aspetti della storia. Ma leggete queste pagine, con “testo a fronte” su quelle di vita e morte vissute.Ne vale la pena


Connessioni casuali:  Camminando sull’acqua

camminando-sull-acqua

 Mi capita in questi giorni di vedere un film, come una pagina dimenticata in mezzo al libro che sto leggendo. Si tratta di  Camminando sull’acqua (2004)  di Eytan Fox. Un punto di vista dall’altra sponda del problema, anche se il tocco sembra meno cupo, ma non meno carico di verità più o meno nascoste.

Camminando sull’acqua è un film di Eytan Fox del 2004. Eyal, israeliano agente del Mossad, viene incaricato di scovare un vecchio nazista per poi ucciderlo prima di Dio, ossia prima che muoia di morte naturale, cosa non impossibile vista la sua età. Eyal viene dunque incaricato di accompagnare, durante la sua vacanza in Israele, il nipote di questo vecchio nazista, Axel, giunto in Israele per far visita alla sorella. Axel è però convinto che suo nonno sia morto, quindi Eyal non riesce ad ottenere informazioni utili da lui. Alcune registrazioni riveleranno però che il vecchio nazista è ancora vivo. Eyal organizza così un viaggio a Berlino, dove vive Axel, ma quando si trova di fronte al vecchio uomo non riesce ad ucciderlo. Ci pensa però Axel, stufo di sentirsi colpevole, a causa del nonno, dei misfatti della Germania nella seconda guerra mondiale. Eyal torna in Israele dove ha un figlio da Pia, la sorella di Axel che si trasforma così nello zio amorevole di questo neonato.”Wikipedia


 Alcune recensioni  da Trovacinema

Fefy, TorinoChe piacere vedere dopo Yossi e Jagger, un altro film di Eytan Fox, regista israeliano. L’interprete principale, Lior Ashekanzi, è conosciuto come il piu’ famoso attore del cinema israeliano della sua generazione e lo sceneggiatore è Gal Uchovsky, conduttore televisivo, giornalista, critico ed ora anche produttore cinematografico è conosciuto come “il gay più influente dei media israeliani”. Lo stile di Fox è costantemente concentrato sui personaggi. Il suo stile non è mai virtuosistico ne’ connotato. Per questo motivo, riesce ad essere un autore solo al servizio della sua storia. Nonostante la complessità dei temi, il pregio di questa pellicola e’ proprio quella di riuscire a mantenersi a galla con una buona dose di ironia e di trasparenza. Sconvolgente la visione di questi due personaggi che percorrono paesaggi meravigliosi costantemente avvisati, tramite la radio o dagli amici, di atti terroristici a pochi metri da loro ed il tutto vissuto in maniera quasi abitudinale…l’unico neo del film è il finale, decisamente melenso, privo di coraggio.

Tullio KezichIl Corriere della Sera (…) Il regista Eyran Fox offre un’immagine di Israele incantevole e interessante; ed è suggestiva anche la visione della nuova Berlino notturna irta di tensioni e contraddizioni. C’è inoltre una visione antibuttiglionesca dell’omosessualità, incarnata da un bravo giovane dai gusti delicati che va in visibilio ascoltando «Non ho l’età» di Gigliola Cinguetti.

Lietta TornabuoniLa Stampa (…) Esame d’un rapporto, analisi del legame tra due archetipi maschili, metafora sul presente e sul futuro di Israele, in un film bello e serio(…)

Daily Mail: One of the most thought-provoking books I’ve read… written with passion, honesty and poetry.


Figli, poesia e vita

BARBAFAMIGLIA

On Children

Your children are not your children.

They are the sons and daughters of Life’s longing for itself.

They come through you but not from you,

And though they are with you yet they belong not to you.

You may give them your love but not your thoughts,

For they have their own thoughts.

You may house their bodies but not their souls,

For their souls dwell in the house of tomorrow,

which you cannot visit, not even in your dreams.

You may strive to be like them,

but seek not to make them like you.

For life goes not backward nor tarries with yesterday.

You are the bows from which your children as living arrows are sent forth.

The archer sees the mark upon the path of the infinite,

and He bends you with His might

that His arrows may go swift and far.

Let your bending in the archer’s hand be for gladness;

For even as He loves the arrow that flies,

so He loves also the bow that is stable.

Kahlil Gibran