A word is dead
When it is said,
Some say.
I say it just
Begins to live
That day
Emily Dickinson, 1894
Mi piace iniziare con Emily questa passeggiata-viaggio tra gli Atti di Parola (Speech Acts di Austin). Non pietre, non pugnali, che già sono metafore e in un certo senso “atto di manipolazione”, ma vere e proprie performances.
E mi viene subito in mente ieri e Paolini e Aus Merzen. La lettera di Hitler con l’Aquila d’oro (sbiadita), che autorizza i medici a fare quello che poi hanno fatto. E la lettera della mamma di quella “ragazza inutile”. Che pathos e che rabbia…
Oggi sono con Gianrico che mi porta dritta dritta dentro la rete (ancora una volta) delle mie idee, conoscenze, esperienze linguistiche e fa ri-affiorare tutte le emozioni provate di fronte alla coscienza civile, le sofferenze e l’amore raccontati da Elias Canetti in La lingua salvata.
Rivivo il senso di disagio provato quando per la prima volta ho scoperto la “Newspeak” e la “Thought Police” di George Orwell in 1984 e ho assaporato il gusto amaro e tragicomico della lingua di Animal Farm, esempio brillante del “Frozen” linguaggio giuridico-normativo, manipolato nei famosi Sette Comandamenti dell’Animalismo. 
Un saggio/manuale di analisi testuale questo di Carofiglio, con un destinatario preciso in mente: il Cittadino Italiano, noi, voi, questa società attonita, smarrita, automatizzata da riti comunicativi sempre più deprimenti.
Invictus, questa è la lezione? Coraggio e dignità che arrivano da un bambino di 12 anni, sofferente. Il poeta William Hernest Henley a cui Morgan Freeman e Clint Eastwood hanno dato voce e diffusione nel meraviglioso film Invictus sul Sud Africa. Coraggio e dignità, tornare a dire a se stessi, con il poeta:
“Io sono il Capitano della mia anima”.
Scegliere dunque e superare l’indifferenza. Gramsci dice che nella Città Futura (1917):
“La catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano…”
Andiamo a leggere del “terrore semantico” nei verbali ufficiali, con Calvino (1965); Klemperer e l’uso tossico delle frasi fatte, parole come “dosi minime di arsenico” e Levi e Don Milani con il suo: “NO” e Cicerone e Dante e Lewis Carroll e De Toqueville.
L’amore, Il governo del fare, la Democrazia. La sinistra e le sue frozen “parole d’ordine” codice d’accesso, o di chiusura? E le parole scritte come parole sociali e collettive di Nadine Gordimer; Bob Dylan e l’ “answer blowing in the wind…”;
Conclusioni
I titoli dei suoi libri dicono molto della passione e dell’intimo piacere che Carofiglio prova nel maneggiare le parole. In Le perfezioni provvisorie, escogita un ossimoro intrigante. Quale perfezione è mai provvisoria? Oppure vuole invitarci a godere la perfezione dell’attimo compiuto? Del “moment of being” di Virginia Woolf?
Il cogli-l’attimo di un commissiario che ama andare in bicicletta e rifugiarsi nella città notturna? Forse, ma poi la Manomissione delle parole invita a proiettarsi dal passato al futuro, quasi un rito pedagogico, per educare all’uso consapevole delle parole.
Le ultime pagine bianche del libro sono piene zeppe di note sugli aspetti che mi hanno coinvolto, commosso, travolto. Un prezioso manuale per il cittadino/custode della parola. Bellissimo e utile. Vero e Bello!
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[…] Ho letto qualcosa di Carofiglio, non il suo ultimo romanzo, Il silenzio dell’onda. Non mi fa impazzire, ma ne ho apprezzato la vena critica in La manomissione delle parole. […]
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