Operazione nostalgia?
Detesto le “operazioni nostalgia”. Le trovo prive di fantasia e rivolte a un passato vissuto come una perduta età dell’oro, quando invece è spesso la fuga da un presente che non si riesce ad affrontare con occhi e strumenti diversi da quelli a cui siamo abituati.
E tuttavia…
Capita che, del tutto casualmente, mi imbatta in Cantanti e complessi musicali “beat” in Abruzzo (1960-1970) I sogni, le speranze, le illusioni di una generazione di Fulvio D’Amore, che indaga il fenomeno dei complessi beat in Abruzzo in quell’arco di tempo che appartiene alla mia adolescenza. E allora non riesco a sottrarmi alla fascinazione del “bel tempo andato”.
Descrizione
Il lungo saggio scandisce l’intenso periodo tra gli anni 60 e i primi 70 attraverso dei punti cardine:
- Nascita, sviluppo, scioglimento e ricomposizione di numerosi complessi musicali abruzzesi, sull’onda innovatrice che arriva dall’America e dal Regno Unito.
- Rassegna stampa che, sebbene sia talora ripetitiva e ridondante, svela uno spaccato del giornalismo dell’epoca, infarcito di provincialismo, frasi fatte, una certa dose di “classismo”(vedi l’high society e la jeunesse dorée di Avezzano) e un atteggiamento decisamente critico nei confronti delle emergenti realtà musicali (capelloni zozzi e drogati, etc etc);
- Nascita di riviste specializzate sui “giovani” e la loro musica. E fu così che i giovani divennero un ghiotto target commerciale, ma anche una nuova e potente realtà sociale con cui fare i conti!
- Talent show. A quante manifestazioni hanno partecipato i nuovi complessini! Erano organizzate per scoprire nuovi talenti a livello locale e nazionale (come il festival di Ariccia di Teddy Reno). Oggi tutti conosciamo bene la potenza dei Talent contemporanei, allora tutto era molto più “casereccio” e forse più genuino.
- Foto dei complessi più rappresentativi del momento, che, nonostante la cattiva qualità della riproduzione, riescono a restituirci volti innocenti, dagli occhi accesi di passione e di entusiasmo, alimentati da fenomeni come Beatles, Rolling Stones e, nei primi anni 70 da grandi gruppi rock italiani, PFM in primis, e internazionali, che sostituiscono i vecchi “beat” e che diventano il punto di riferimento di chi vuole intraprendere una carriera musicale di qualità.
- Un contesto “antico” che si trova disarmato di fronte alla valanga dell’ innovazione. I giovani in cerca di affermazione erano considerati dei “nullafacenti”, specialmente in una cittadina abruzzese ai confini con la modernità. Eppure “il piccolo mondo antico” non può che attrezzarsi. Come? I nuovi “complessi” vengono alla ribalta nelle feste parrocchiali, nelle feste dei vari istituti scolastici della cittadina, nelle famose cantine buie con le pareti insonorizzate da cartoni per le uova dove, al ritmo delle canzoni più famose, italiane e straniere, nascono e fioriscono amori adolescenziali. Fanno sorridere le trasferte nei vari paesini e città abruzzesi, ancora senza autostrada, attraverso accidentati percorsi di montagna, con amici al seguito. Fanno tenerezza i ricordi sui portici di Avezzano, il bar Ciccio, la legnaia di Carletto, il Castmars. Il Cinema Rex a L’Aquila.
La maledizione della leva militare
Sembra che l’ obbligo “social-militare” fosse l’incubo delle band. Incombeva sui ragazzi. Nel momento in cui intravedevano una possibilità di successo con la loro musica, la famosa cartolina piombava su alcuni di loro mettendo in crisi tutto il gruppo. Nasceva così l’esigenza di sostituirli. Naia, università e perdita d’entusiasmo generano un inarrestabile formarsi-sfasciarsi-riformarsi di nuove band con nuovi nomi e vecchi componenti, che conferma comunque l’esistenza e la persistenza del sogno.
Impariamo l’Inglese…cantando
Negli anni 60 vanno di moda le “cover”, versione italiana di grandi successi, ma l’originale è tutta un’altra cosa. Alcuni musicisti cominciano a imparare la versione inglese delle canzoni dei Beatles, ma risulta arduo far collimare il ritmo con il suono della lingua inglese, alcuni ci riescono meglio di altri e conferiscono valore aggiunto all’esecuzione. Da adolescente ho vissuto questa esperienza con Mr Tambourine man di The Byrds, che D’Amore cita nel suo saggio. Comincia a farsi strada nella mia lista dei desideri “professionali” la lingua inglese e questa è la canzone che da il via. L’ ascolto, la riascolto, la canto …” E imparo.
I Gens
Alcuni dei gruppi che D’Amore elenca minuziosamente, hanno successo ben oltre i confini della propria regione, in competizioni nazionali. Tra questi i Gens a cui mi lega un ricordo personale. Il loro grande successo In fondo al viale, mi riporta ai miei felici anni 80 a Messina, con la mia giovane famiglia che quel viale lo ha vissuto intensamente. Parliamo del Viale San Martino, oggi molto diverso dagli anni dei Gens e dai mitici 80.
Contraddittori anni 70-Estasi da concerti rock
Mi ha entusiasmato l’elenco dei concerti a cui hanno avventurosamente partecipato Fulvio d’Amore e i suoi “colleghi”. Strabiliante! Come mi sarebbe piaciuto partecipare al concerto dei Santana! Posso intuire l’”estasi” vissuta da chi la musica ce l’aveva dentro e di musica aveva vissuto per un certo periodo. Questi anni li sento più miei, li ho vissuti più profondamente e consapevolmente, da adolescente degli anni 60 ero presa da altre cose e la musica era solo un sottofondo piacevole sulle cui onde sognare. Quando arriva il progressive rock, l’inglese migliora e arriva finalmente un gruppo rock femminile: Le Najadi di Firenze. Ma arrivano anche le discoteche e… addio ai complessini beat.

Gli anni 70 trascorrono avvolti nelle loro contraddizioni e, tra una manganellata e l’altra, si fa strada una ben più pericolosa “rivoluzione”. Il movimento di protesta del 68 non ha forse portato a compimento tutti i progetti che l’avevano ispirato, ma grazie anche a grandi intellettuali, come Fernanda Pivano e a tutta una pubblicistica approfondita e analitica del fenomeno, sono emersi valori fino ad allora rimasti sotto traccia:
“I temi del pacifismo, l’antirazzismo, il rifiuto del potere come forma di dominio di pochi privilegiati sull’intera popolazione, i diritti delle donne e l’interesse per l’ambiente, entrarono definitivamente a far parte del «dibattito politico e socio-culturale del mondo intero»”.p. 271
Gli Antenati
Mi piace concludere con il “complesso” che ha visto nascere e crescere la passione per la musica in Fulvio D’Amore, e di conseguenza questo volume. D’Amore, insider consapevole e partecipe, torna spesso a parlare del suo gruppo originale, messo su con Walter Spera, chitarra solista, Alberto D’Angelo, chitarra basso, Carletto Damiani, batterista (aggiuntosi in seguito).
Pur avendo vissuto gli stessi anni nella stessa città dei quattro ragazzi del gruppo, non ricordo di aver partecipato in modo travolgente alle loro performance che tanto entusiasmo suscitavano, specialmente tra le ragazze. Ma ne sentivo parlare e, nel 1969 credo, quando ormai il gruppo si era sciolto, incontrai Walter ad una festa privata. Leggo che recentemente molti gruppi dell’epoca hanno inciso un CD per beneficenza. Sarebbe bello poterlo ascoltare.
Riconoscere, riconoscersi

Ho riconosciuto tanti nomi, tante situazioni ed eventi connessi a tali nomi e mi sono lasciata avvolgere da quell’operazione nostalgia che mi aveva visto scettica prima di iniziare a leggere il saggio di D’Amore. Ho riassaporato l’aria ingenua e fresca di una comunità che era di recente uscita dalle profonde ferite della guerra e che si stava proiettando verso il futuro, seppure tra mille difficoltà. La musica ribelle, lo spirito internazionalista dell’epoca, il bisogno di seguire l’amore, mi hanno spinto a lasciarmi alle spalle questo “piccolo mondo antico” che tuttavia mi porto nel cuore e che è parte irrinunciabile di me.
Questa consapevolezza ho colto nel ”racconto” di Fulvio e questo continuerò a portarmi dietro e dentro, mentre continuo a percorrere strade che si allontanano sempre più da quel dolce e impervio “luogo natio”. E comunque, viva sempre la musica e i musicisti!
La frase che resta
“ Non schedate le nostre coscienze!”
Un concetto valido nel 1967, quando cominciavano a farsi sentire le prime voci di protesta giovanile. Valido oggi, più che mai.
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