Lucy Bartoncop

 

Piccoli quadri di vita sentimentale pendono dalle pareti ideali di questo romanzo. Sembra una storia semplice, fatta di brevi spaccati narrativi, veloci da leggere, ma alla fine del viaggio ti resta la sensazione di aver vissuto un’esperienza di analisi profonda con una psicoterapeuta speciale: te stessa.

La storia è la seguente: Lucy Barton è nata e cresciuta in una famiglia molto povera e problematica. La sua infanzia è costellata di episodi sgradevoli che la segnano per la vita. Da adulta, madre realizzata di due bambine e moglie serena di un uomo perbene, si ammala ed è costretta ad una lunga degenza in ospedale, dove per un breve periodo va ad assisterla sua madre.

Madre e figlia non hanno mai avuto un rapporto soddisfacente. A dire il vero non hanno mai avuto un rapporto. Si portano dietro tutta la conflittualità di una vita “separata” fatta di poche parole, di gesti affettuosi inesistenti, di miseria e infelicità.

New York partecipa direttamente alla storia con il grattacielo Chrysler, uno dei suoi simboli più noti che madre e figlia guardano illuminarsi, quasi a segnare il passaggio del tempo dal giorno alla notte, dalla stanza d’ospedale dove insieme cercano faticosamente di recuperare frammenti di ricordi e di vita in comune.

Le due figlie di Lucy aspettano che la mamma torni a casa guarita, intanto sono affidate al padre e a una donna senza figli che si occupa di loro, ma soprattutto del loro caro papà Will. Anche la famiglia di Will ha avuto i suoi problemi. Prigioniero di guerra in USA, il padre di Will ripudia la Germania, che gli fa letteralmente schifo e decide di trasferirsi per sempre in Massachusetts dove mette su famiglia con la moglie del fattore per cui lavorava prima di tornare in Germania…Ma questa è un’altra storia. Il padre di Lucy non avrebbe voluto questo matrimonio, lui ha combattuto durante la guerra e ne porta le cicatrici dolorose nel cuore e nel corpo.

 Lucy bambina legge molto in biblioteca, dove cerca di trascorrere più tempo possibile pur di non ritornare alla casa garage, fredda e inospitale. E diventa una scrittrice famosa, anche grazie ai suggerimenti di una ben più famosa autrice, Sara- Payne-che si- stancava- tanto durante le sue lezioni del corso per aspiranti scrittori.

“I libri mi davano qualcosa. È questo che penso. Mi facevano sentire meno sola. È questo che penso. E mi dicevo: Scriverò libri e le persone si sentiranno meno sole!” p.22

Alla fine di un percorso sofferto di autoscoscienza, Lucy si riconosce nella Lucy di ieri e di oggi e ripete a se stessa, con convinzione: “Io sono Lucy Barton.” So dove sono e so dove voglio andare, liberamente.

“La vita mi lascia sempre senza fiato”

Flash più o meno luminosi dalla vita di Lucy da rintracciare nel romanzo

  • Jeremy
  • Il Furgone
  • Falco Nero
  • Il primo Gay Pride
  • Elvis, il ragazzo di Tupelo
  • La plastica per non assomigliare alle madri
  • Scrivere la propria storia
  • Il mio dottore
  • Quando mia madre si ammalò…

In volo

Scrivo queste riflessioni su Mi chiamo Lucy Barton di Elizabeth Strout mentre sono sull’aereo che mi riporta a casa, dopo aver trascorso uno splendido Natale a Siviglia, con le mie due “Bambine”. Il difficile rapporto di Lucy con sua madre mi fa pensare a quello che c’è tra me e le mie figlie. Noi tre  parliamo del nostro presente e del nostro passato, non molto a dire il vero, ma comunichiamo lo stesso in vari modi, oltre la parola. Ci guardiamo, Ci tocchiamo, ci abbracciamo, ci scambiamo silenzi, consigli e insofferenze. Basterà a loro? Desidererebbero di più? Di meglio? Il nostro rapporto è cambiato nel tempo ed ora è davvero molto peculiare. Hanno lasciato il nido “Italiano” da tanto tempo ormai, ma io le sento sempre vicino, “appiccicate” al cuore, in un nido ideale fatto di forti onde relazionali.

Ho lasciato a casa in stand by Il Racconto dell’Ancelladi Margaret Atwood (non vedo l’ora di riprenderne la lettura). Lucy Barton ha preso il suo posto e, in fondo, ha rappresentato una casuale, significativa “digressione” all’interno di quella storia. Di fatto sto attraversando questi due libri, in una linea di continuità tra più mondi al femminile: scrittrici, lettrici, mamme, figlie, tutte alla ricerca di una relazione o di un’identità da costruire o ritrovare.

 Ancella

Tornare all’Ancella mi ricondurrà all’ astrazione, all’apparente neutralità della narrazione distopica, ma anche in quel caso mi lascerò coinvolgere da un’ interazione profonda con i sentimenti.