Ho visto due spettacoli di Giorgio Gaber, che mi hanno lasciato un segno indelebile.
Della mia vita in Abruzzo, da adolescente e poi da giovane donna, ricordo le canzoni del repertorio classico del cantautore milanese, mi viene in mente subito Porta Romana. E quelle “leggere” come Torpedo blu.
Poi, con la maturità arriva anche il tempo di un più convinto impegno civile e il Teatro Canzone di Gaber mi accoglie nel suo humus con il primo incontro dal vivo, a Messina. Emozioni al massimo al Teatro Vittorio Emanuele. Un tuffo “artistico e urticante” nella politica e nell’attualità Era il 1985.
Il secondo incontro è a Padova, anni 90. Una fase nuova della mia vita e un ritorno a vecchie emozioni. Gaber è malato ma la sua performance risente solo fisicamente del peso della malattia. Gli occhi brillano come sempre mentre seduto, con la solita chitarra in mano, si staglia sullo sfondo buio del palcoscenico.
Emozioni moltiplicate. La vita mi ha spinto ad accumulare esperienze, a selezionare episodi, ad abbandonare persone, ma quella voce, quelle parole sembrano sintetizzare tutto un mondo di contrasti e conflitti.
Oggi, ascolto alla radio una trasmissione “impegnata” dove, a parole sagge su infodemia, razzismo, pericoli del rinascente fascismo, diritti calpestati, la brutta aria che tira nel mondo dell’informazione, si alternano canzoni dense di significato, tra queste C’è un’aria di Giorgio Gaber. E subito si riaccendono le emozioni intense vissute durante i suoi concerti.
C’è un’aria
Dagli schermi di casa un signore un po’ agitato
O una rossa decisa con il gomito appoggiato
Ti rallegran la cena sorridendo e commentando
Con interviste e filmati ti raccontano a turno a che punto sta il mondo
E su tutti i canali arriva la notizia
Un attentato, uno stupro o se va bene una disgrazia
Che diventa un mistero di dimensioni colossali
Quando passa dal video a quei bordelli di pensiero che chiamano giornali
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria
E ogni avvenimento di fatto si traduce
In tanti “sembrerebbe”, “si vocifera”, “si dice”
Con titoli d’effetto che coinvolgono la gente
In un gioco al rialzo che riesce a dire tutto senza dire niente
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria che manca l’aria
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria che manca l’aria
Lasciateci aprire le finestre
Lasciateci alle cose veramente nostre
E fateci pregustare l’insolita letizia
Di stare per almeno diec’ anni senza una notizia
E in quel grosso mercato di opinioni concorrenti
Puoi pescare un’idea tra le tante stravaganti
E poi ci son gli interventi e i tanti pareri alternativi
Che ti saltano addosso come le marche dei preservativi
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria
E c’è un gusto morboso nel mestiere d’informare
Uno sfoggio di pensieri senza mai l’ombra di un dolore
E le miserie umane raccontate come film gialli
Sono tragedie oscene che soddisfano la fame di certi avidi sciacalli
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria che manca l’aria
C’è un’aria, un’aria, ma un’aria che manca l’aria.
Giorgio Gaber
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