Expat Storie di Italiani nel mondo

Il Sabato mattina, mentre organizzo la giornata, ascolto i programmi di Radio 3. Uno di questi è Expat Storie di Italiani nel mondo. La puntata di cui vi parlo, Vado a vivere in Africa è un’intervista con Chiara Barison, Ph.D. in Politiche Transfrontaliere, presentatrice e giornalista tv, blogger. Da anni si occupa del complesso tema delle migrazioni. Gestisce la comunicazione per la Sede AICS di Dakar e il suo motto è: la metodologia più comunemente utilizzata non è necessariamente la migliore.”

“Una radio costruita con i gusci delle uova per dare voce a una rivoluzione che è di un intero Paese, e anche personale. Una televisione accesa in una casa di Dakar, da cui parla una donna dai capelli corti arrivata dal Veneto. La lentezza di Città del Capo che non fa rimpiangere la frenesia delle sfilate milanesi. Debora Del Pistoia, Chiara Barison e Alessandra Squarzon hanno scelto di vivere in Africa: in tre città distanti e diverse fra loro, porzione di un continente dal quale poter meglio osservare il nostro. Fra battaglie e gelsomini, e sandali col tacco 12, il racconto di chi si è trasferito nelle terre da cui, si pensa, tutti vogliono scappare.”

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Durante l’intervista Chiara esprime un concetto che mi colpisce subito e mi aiuta a collocare gli Expat, tra cui le mie due figlie, in una dimensione finalmente chiara, sia dal punto di vista linguistico che da quello esperienziale. Chiara si definisce “una trasmigrante” in viaggio tra le reti e relazioni costruite nel tempo, tra un paese e l’altro.

La definizione assume una valenza quasi flosofico-religiosa e fa pensare ad una sorta di trasmigrazione di anima e corpo, non già in un aldilà misterioso, ma su questa terra, unico pianeta con tanti luoghi in cui ciascun essere umano può trovare casa, e può andare e venire dall’una all’altra casa portandosi dietro un bagaglio di conoscenze che contribuisce a formare una persona più ricca e completa.

È un’immagine bellissima che in questi giorni di isteria da Corona Virus rasserena l’anima di chi trasmigra e di chi, come i genitori e le persone amiche, rimangono in una delle “case”. I nostri trasmigranti stanno costruendo case, stanno costruendo reti e relazioni per essere autentiche “persone umane” in tutti i luoghi in cui abitano.

E mi piace concludere con Ritals (R. Itals, réfugiés italiens) di Gianmaria Testa, in poesia. Eppure lo sapevamo anche noi…