
Avevo un gran desiderio di cominciare a conoscere Ortese e il suo rapporto conflittuale con Napoli. Ho deciso di iniziare da Il mare non bagna Napoli (Gli Adelphi 1953), perché folgorata dal titolo. Ho provato ad immaginarne il significato, e subito mi sono chiesta:
“Di quale Napoli sta parlando? Napoli è “o’mare, o’cielo, o sole…” Ma quante Napoli esistono?”I
racconti hanno in parte sciolto l’enigma. Quelli che mi hanno colpito l’anima sono: Un paio di occhiali, Interno familiare, La città involontaria.
Un paio di occhiali
Gli occhiali di Eugenia-quasi cecata- “sono ottomila lire vive vive…” Eugenia mi fa pensare un po’ a Elena e un pò a Lila dell’ Amica Geniale di Elena Ferrante. E ritrovo anche in altri racconti una comune essenza narrativa. L’ attesa degli occhiali, è un capolavoro. Un misto di trepidazione, speranza, illusione, un mondo di aspettative che nutre la sua anima.
“Dal lettino in fondo alla stanza, una vera grotta, con la volta bassa di ragnatele penzolanti, si levò, fragile e tranquilla, la voce di Eugenia: «Mammà, oggi mi metto gli occhiali». C’era una specie di giubilo segreto nella voce modesta della bambina, terzogenita di don Peppino (le prime due, Carmela e Luisella, stavano con le monache, e presto avrebbero preso il velo, tanto s’erano persuase che questa vita è un gastigo; e i due piccoli, Pasqualino e Teresella, ronfavano ancora, capovolti, nel letto della mamma).”
Quando avrà gli occhiali, la sua vita cambierà, anche se gli amici le ricordano che gli occhiali sono da vecchia… Finalmente i costosissimi occhiali arrivano. Eugenia guarda il mondo con occhi nuovi. E vomita. Racconto delizioso e amaro, dove tutto ruota intorno alla metafora degli occhiali e della visione.
“Era stata una settimana prima, con la zia, da un occhialaio di via Roma. Là, in quel negozio elegante, pieno di tavoli lucidi e con un riflesso verde, meraviglioso, che pioveva da una tenda, il dottore le aveva misurato la vista, facendole leggere più volte, attraverso certe lenti che poi cambiava, intere colonne di lettere dell’alfabeto, stampate su un cartello, alcune grosse come scatole, altre piccolissime come spilli. «Questa povera figlia è quasi cecata,» aveva detto poi, con una specie di commiserazione…”
Interno familiare
Doloroso il ritratto di Anastasia, commerciante quasi quarantenne e nubile, dunque donna emancipata ed elegante che contribuisce in modo determinante al mantenimento della famiglia. Spera in un ritorno di fiamma di un antico corteggiatore che riappare inaspettato sulla scena. Ma le emozioni vanno ricacciate giù nel profondo, nel dimenticatoio. La famiglia ha bisogno di lei, e questo è un bell’alibi anche per la sua inerzia. Il racconto è ricco di personaggi che danno forza alla narrazione: la nana triste, la mamma- mamma. Gli altri? colore napoletano anche se a tratti Eduardiani.
“Anastasia Finizio, la figlia maggiore di Angelina Finizio e del fu Ernesto, ch’era stato uno dei primi parrucchieri di Chiaia, e solo da qualche anno si era ritirato in un recinto soleggiato e tranquillo del cimitero di Poggioreale, era rientrata da poco dalla Messa grande (era il giorno di Natale) in Santa Maria degli Angeli, a Monte di Dio, e ancora non si decideva a togliersi il cappello. Alta e magra come tutti i Finizio, con la stessa eleganza meticolosa e brillante, in contrasto con lo squallore e non so che decrepitezza delle loro figure cavalline, andava avanti e indietro per la camera da letto che divideva con sua sorella Anna, non riuscendo a contenere una visibile agitazione. Solo pochi minuti prima tutto era indifferenza e pace, freddezza e rassegnazione nel suo animo di donna giunta alla soglia dei quarant’anni dopo aver perduto, quasi senza accorgersene, ogni speranza di un bene personale, ed essersi adattata piuttosto facilmente a una vita da uomo, tutta responsabilità, contabilità, lavoro. Aveva un negozio di maglieria là dove suo padre aveva pettinato le più esigenti testine di Napoli, e con quello portava avanti la casa…”
La città involontaria
I Granili, inferno dei vivi, lasciano un senso di cupezza, quasi di angoscia e ineluttabilità, anche se qualche debole frammento di sole riesce a volte a squarciare il fitto velo d’ombra.
“Secondo la più discreta delle deduzioni, solo una compagine umana profondamente malata potrebbe tollerare, come Napoli tollera, senza turbarsi, la putrefazione di un suo membro, ché questo, e non altro, è il segno sotto il quale vive e germina l’istituzione dei Granili. Cercare a Napoli una Napoli infima, dopo aver visitato la caserma borbonica, non viene più in mente a nessuno. Qui, i barometri non segnano più nessun grado, le bussole impazziscono. Gli uomini che vi vengono incontro non possono farvi nessun male: larve di una vita in cui esistettero il vento e il sole, di questi beni non serbano quasi ricordo. Strisciano o si arrampicano o vacillano, ecco il loro modo di muoversi. Parlano molto poco, non sono più napoletani, né nessun’altra cosa. Una commissione di sacerdoti e studiosi americani, che oltrepassò arditamente, giorni or sono, la soglia di quella malinconica Casa, tornò presto indietro, con discorsi e sguardi incoerenti.”
Perché il III e IV Granili non è solo ciò che si può chiamare una temporanea sistemazione di senzatetto, ma piuttosto la dimostrazione, in termini clinici e giuridici, della caduta di una razza.”
Gli Intellettuali Napoletani
Più didascalico e “istruttivo ” è l’incontro con gli intellettuali Napoletani degli anni 50 nei racconti successivi. Mi è sembrato una sorta di diario di viaggio della stessa Ortese. Di fatto è il racconto della nascita di un articolo. L’ho tuttavia apprezzato per quello che rappresenta, uno spaccato della vita, del lavoro, delle ambizioni e dei fallimenti degli intellettuali nella Napoli controversa dell’immediato dopoguerra. Tempo di primavera cielo d’Europa…
“Fin dal primo momento, era stato chiaro che la cultura, intesa come conoscenza e quindi coscienza, specchio dove fissare la propria immagine, fosse il più indispensabile. Bisognava rimuovere dall’opinione pubblica il mito terribile del sentimento, chiarendo tutte le alterazioni e deformazioni cui esso aveva condotto l’odierna società partenopea; sottrarre alla sua vista, finché le condizioni generali non fossero migliorate, i cieli di Di Giacomo e Palizzi, proponendo e magari imponendo le manifestazioni di un’arte arida e disperata. Su questo, spiriti profondamente liberali, anche se, taluni, devoti alla fede marxista (ma non bisogna dimenticare che il comunismo, a Napoli, in quegli anni, era un liberalismo di emergenza), come il Compagnone, il Prunas, il Gaedkens, il La Capria, il Giglio, il Ghirelli e altri, erano d’accordo con veri e propri militanti, esseri intellettualmente inferiori, e incapaci di una indipendenza laica, aggrappati all’idea di uno Stato Universale, che avrebbe dovuto sostituire le diverse Chiese nella reggenza dei popoli.”
Nota dell’autrice
Anna Maria Ortese
“Il mare non bagna Napoli apparve la prima volta nei Gettoni della Einaudi, con una presentazione di Elio Vittorini. Era il ’53. L’Italia usciva piena di speranze dalla guerra, e discuteva su tutto. A causa dell’argomento, anche il mio libro si prestava alle discussioni: fu giudicato, purtroppo, un libro «contro Napoli». Questa «condanna» mi costò un addio, che si fece del tutto definitivo negli anni che seguirono, alla mia città. E in circa quarant’anni – tanti ne sono passati da allora – io non tornai più, se non una volta, per qualche ora, e fuggevolmente, a Napoli.”
“A distanza, appunto, di quattro decenni, e in occasione di una sua nuova edizione, mi domando se il Mare è stato davvero un libro «contro» Napoli, e dove ho sbagliato, se ho sbagliato, nello scriverlo, e in che modo, oggi, andrebbe letto. La prima considerazione che mi si presenta è sulla scrittura del libro. Pochi riescono a comprendere come nella scrittura si trovi la sola chiave di lettura di un testo, e la traccia di una sua eventuale verità. Ebbene, la scrittura del Mare ha un che di esaltato, di febbrile, tende ai toni alti, dà nell’allucinato: e quasi in ogni punto della pagina presenta, pur nel suo rigore, un che di «troppo»: sono palesi in essa tutti i segni di una autentica «nevrosi». Quella «nevrosi» era la mia.”
Assaggi
Vita piena di sonorità ed emozioni – “Piangeva, non tanto di pietà per la defunta, che conosceva e apprezzava, quanto di dolcezza di fronte a questa vita, che si presentava così strana e profonda, quale mai l’aveva veduta, piena di sonorità ed emozione.”
La zampogna ventosa dei cafoni– “due cafoni erano intenti a soffiare in una zampogna, e quel suono triste e tenero arrivava dovunque, e a volte si confondeva con un po’ di vento che vagava adesso nel cielo di Napoli.”
Oro a Forcella e bimbi topo – “Sgomentava soprattutto il numero dei bambini, forza scaturita dall’inconscio, niente affatto controllata e benedetta, a chi osservasse l’alone nero che circondava le loro teste. Ogni tanto ne usciva qualcuno da un buco a livello del marciapiede, muoveva qualche passetto fuori, come un topo, e subito rientrava.”
Il genio materno che preserva il sonno della ragione – “Esiste, nelle estreme e più lucenti terre del Sud, un ministero nascosto per la difesa della natura dalla ragione; un genio materno, d’illimitata potenza, alla cui cura gelosa e perpetua è affidato il sonno in cui dormono quelle popolazioni. Se solo un attimo quella difesa si allentasse, se le voci dolci e fredde della ragione umana potessero penetrare quella natura, essa ne rimarrebbe fulminata.”
Sonno profondo– “le prime linee di quella scuola della Ragione, che, altrove, aveva già purificato i paesi, e alla cui mancanza, qui, era dovuto il profondo sonno e la dispersione della coscienza.”
I borghesi di Posillipo e la plebe – “Mergellina. Da questo porticciuolo, chiamato in origine Mergoglino, sempre pieno di barche colorate, immerso in una luce e un silenzio superiori ai colori, ai gridi, al tonfo dei remi che fendono l’acqua chiarissima, parte la Via Nuova di Posillipo, che segue tutta la collina. E qui si può dire finisca la Napoli plebea (ch’è tutta Napoli) e cominci quella sezione civile e borghese, che per dimora non usa case o casupole, ma solo ville circondate da grandi e scuri giardini, con spiaggia propria.”
Notte ai Granili – “Cominciava la notte, ai Granili, e la città involontaria si apprestava a consumare i suoi pochi beni, in una febbre che dura fino al mattino seguente, ora in cui ricominciano i lamenti, la sorpresa, il lutto, l’inerte orrore di vivere.”
I Granili -Perché Antonia Lo Savio è invisa–“In due parole, essa mi raccontò il perché dell’avversione di buona parte della popolazione femminile della Casa: era cominciata da quando la Lo Savio aveva deciso di dedicarsi all’ambulatorio, in quanto si sospettava che essa godesse le simpatie del Direttore, e traesse dalla sua attività vantaggi immediati, come medicine, che avrebbe rivendute, pacchi dell’ECA, e altro. «Da sei mesi ho abbandonato la casa e tutto,» mi confessò semplicemente «mi faccio la capa, e scendo. Perché questa non è una casa, signora, vedete, questo è un luogo di afflitti. Dove passate, i muri si lamentano”
La bellezza tra le tragiche fila. Una farfalla – “Una farfalla marrone, con tanti fili d’oro sulle ali e sul dorso, era entrata, chissà come,”
Bambini vermi – “Queste due creature, che potevano avere sì e no tre o quattro anni, sottili e bianche come vermi, avevano sul viso di cera certi sorrisetti così vecchi e cinici, ch’era una meraviglia, e ogni tanto guardavano di sotto in su, con un’aria maliziosa e interrogativa, quella loro frenetica madre.”
Il mare non bagna Napoli, affetti- culto diventano vizi e follia – “Faceva contrasto a questa selvaggia durezza dei vicoli la soavità dei volti raffiguranti Madonne e Bambini, Vergini e Martiri, che apparivano in quasi tutti i negozi di San Biagio dei Librai, chini su una culla dorata e infiorata e velata di merletti finissimi, di cui non esisteva nella realtà la minima traccia. Non occorreva molto per capire che qui gli affetti erano stati un culto, e proprio per questa ragione erano decaduti in vizio e follia; infine, una razza svuotata di ogni logica e raziocinio s’era aggrappata a questo tumulto informe di sentimenti, e l’uomo era adesso ombra, debolezza, nevrastenia, rassegnata paura e impudente allegrezza.
Una miseria senza più forma, silenziosa come un ragno, disfaceva e rinnovava a modo suo quei miseri tessuti, invischiando sempre più gli strati minimi della plebe, che qui è regina. Straordinario era pensare come, in luogo di diminuire o arrestarsi, la popolazione cresceva, ed estendendosi, sempre più esangue, confondeva terribilmente le idee all’Amministrazione pubblica, mentre gonfiava di strano orgoglio e di più strane speranze il cuore degli ecclesiastici. Qui, il mare non bagnava Napoli. Ero sicura che nessuno lo avesse visto, e lo ricordava. In questa fossa oscurissima, non brillava che il fuoco del sesso, sotto il cielo nero del sovrannaturale.”
Indice
- IL MARE NON BAGNA NAPOLI
- Un paio di occhiali
- Interno familiare
- Oro a Forcella
- La città involontaria
- Il silenzio della ragione
- La sera scende sulle colline
- Storia del funzionario Luigi
- Chiaia morta e inquieta
- Tessera d’operaio n.200774
- Traduzione letterale: Che cosa significa questa notte?
- Il ragazzo di Monte di Dio
- Le giacchette grigie di Monte di Dio
Un pensiero riguardo “A.M. Ortese-Se IL MARE NON BAGNA NAPOLI.Un incontro a lungo desiderato.”
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