Subito dopo aver finito il libro, l’ho chiuso e ho alzato lo sguardo. Attraverso le tende bianche e traforate, gli occhi si sono riempiti di azzurro e oro. Filtrano magici dal tessuto leggero il celeste nitido del cielo e il prezioso sole dorato.
L’aria è tersa e ormai dimentica del brutto tempo degli ultimi giorni. Ed io penso subito a Liesel che con i suoi bollettini meteo cerca di descrivere il “mondo fuori” a Max.
Da dove comincio per comunicare le innumerevoli suggestioni di questo romanzo? Decido di prendere in prestito dalla superattiva narratrice, Nostra Signora Morte, le parole della sua Ultima Postilla. Sono simili a quelle che già andavano prendendo forma nella mia mente per riassumere il senso di questa storia così speciale:
“Avrei voluto dire tante cose alla ladra di libri, parlarle della bellezza e della brutalità. Ma cos’altro avrei potuto dire che lei già non sapesse? Volevo spiegarle cha da sempre mi capita di sovrastimare o sottostimare il genere umano…di rado mi limito a stimarlo. Volevo domandarle come potesse una medesima cosa essere terribile e splendida allo stesso tempo e le sue parole dure e l’unica verità che conosco davvero. Nulla di tutto ciò mi uscì dalla bocca. “(p.562)
La storia di Liesel Meminger, data in adozione agli Hubermann da una madre disperata, è la storia di un viaggio di formazione, (non a caso parte da un treno che perseguiterà la ragazza nei suoi incubi ricorrenti) tra le strade e le genti di Monaco negli anni cruciali che accompagnano l’Europa verso un destino sciagurato di discriminazione, guerra e morte. Sono anni cruciali anche per Liesel che vede morire il fratellino, soffre l’abbandono della madre e si trova costretta ad accettare una nuova mamma e un nuovo papà. Gli inizi sono drammatici, ma dopo…
Affascina in questo libro la freschezza dei protagonisti e lo spaesamento che essa produce nel lettore. Nonostante il contesto funereo e tragico della Germania nazista, i bambini sono bambini e giocano in strada, rubano mele dagli alberi e combinano marachelle. E muoiono, anche.

Liesel Meminger gioca e cresce con Rudy Steiner, un compagno fuori dagli schemi anche per la feroce e pericolosa passione verso il suo mito: il grande atleta nero Jesse Owens.
Liesel aiuta mamma Rosa isterica e borbottona, a prelevare e riportare il bucato ai clienti che possono permettersi i servizi di pulitura e stiratura;
Impara pian piano a gestire i suoi incubi e le sue tristezze anche prendendosi cura, insieme ai suoi, dell’ ebreo Max, confinato nella cantina di casa. Con lui crea letteratura e arte. Max scrive per Liesel un meraviglioso libro illustrato in cui registra ogni minuto, ogni sensazione, ogni piccolo evento della sua vita clandestina nella cantina degli Hubermann.

Liesel impara a leggere sotto la guida paziente e amorevole di papà Hans dagli occhi d’argento, imbianchino creativo, suonatore di fisarmonica e armonizzatore di colori:
“L’Arte di mescolare le tinte… La bravura di Papà nel suo mestiere faceva crescere ancor di più il rispetto per il genere di uomo. Spartire pane e musica era bello e buono, ma lo era anche saperlo molto bravo nel suo lavoro. L’abilità attrae”.
Una narratrice speciale, Nostra Signora Morte, contribuisce a far immergere il lettore in un’atmosfera quasi gotica. E tuttavia, questa entità universale si lascia penetrare empaticamente, quasi avesse un’anima.
Il sogno del pugile

Nel sogno di Max, ventiquattrenne pugile ebreo, i due contendenti sono lo stesso Max e Lui, Il Führer Adolf Hitler che, sebbene alle corde, non ci pensa proprio a darsi per vinto. Non può farsi sconfiggere da un piccolo, insignificante ma, per sua natura, pericoloso ebreo. E allora ricorre a quella che diventerà una delle sue armi letali: le parole di propaganda.
“Le parole erano visibili: gli cadevano dalla bocca come gioielli…”
Zusak usa termini splendenti e ammalianti per descrivere l’ ars oratoria del terrificante Hitler, chiave di volta della sua sciagurata carriera politica…
Nella biblioteca di Ilsa Hermann
Liesel è fantastica e il suo rapporto con i libri è tra i più freschi e vitali che abbia mai incontrato in un romanzo. I titoli dei libri che ruba mi riportano in un certo senso al Viaggiatore di Calvino. Essi riproducono, insieme, una sorta di never-ending-story, in cui ciascuno rappresenta un passo ulteriore nella definizione della grande storia narrata.
“Bastardi, pensò. Adorabili bastardi. Non rendetemi felice. Non riempitemi, per favore, non lasciate che mi persuada che qualcosa di buono possa venire fuori da tutto ciò[…]
Strappò una pagina dal libro e la lacerò in due. Poi un intero capitolo. Poco dopo non ci furono che brandelli di parole sparsi tra le sue gambe e tutto intorno a lei. Le parole. Perché dovevano esserci le parole? Senza parole non ci sarebbero stati il Führer, né prigionieri zoppicanti, nessun bisogno di conforto o giochi di prestigio per farci sentire meglio. Che bene facevano le parole? (p.533)
Fortunatamente la guerra non riesce a spegnere le anime. La vita non finisce e la lotta degli umani per la sopravvivenza continua ad essere scritta e letta tra le rughe dei protagonisti e tra le righe dei loro libri.
***LA LADRA DI LIBRI: ULTIMA RIGA***
Ho odiato le parole e le ho amate,
e spero che siano tutte giuste.

Lettere dall’oggi
QUANDO LA REALTÀ SUPERA LA FANTASIA
***Massimo Epifanio, decoratore, è un Ladro di Libri***
La pena giusta per lui?
“essere affidato ai servizi sociali. Lavorando in una bilbioteca…”
Dalla lettera di Stefano Bottoni a
La Stampa
12 Luglio 2014
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