Piccole notizie
Nel 1999 Orhan Pamuk compra un palazzo storico di Istanbul per realizzare un progetto legato al romanzo Il museo dell’innocenza. Incarica l’architetto Ihsan Bilgin – prima di iniziare a scrivere il romanzo – di trasformare l’edificio in un museo dove il libro e il museo stesso si incrociassero nella storia d’amore tra Kemal e Füsun, i protagonisti. In questa storia autobiografica Kemal colleziona ossessivamente nel museo che costruisce gli oggetti toccati da Füsun, in ricordo della loro complessa vicenda amorosa. Dopo nove anni sia il romanzo che il museo sono nati contemporaneamente.
“Il governo turco ha sospeso i finanziamenti a Pamuk per allestire il museo dell’innocenza di Istanbul, sul modello di quello di Kemal. Pamuk decide di costruirlo in ogni caso, con soldi suoi…” La Stampa, Aprile 2010.
Per le strade di Istanbul con Kemal e Füsun: emozioni da un viaggio
Finisco di leggerlo il 18 Aprile 2010. E′ la giornata adatta per completare questa “epopea” amorosa. Si prevedeva pioggia e invece c’è il sole. Ieri notte, no, pioveva, fitto fitto. L’ombrello giallo IKEA ci riparava dalla pioggia notturna.
Stamattina ritorno con Kemal e Orhan alla grande storia di Füsun. All’inizio ho scritto sulla prima pagina due parole a proposito di “siparietti” verso un’opera teatrale unica. L’ impressione iniziale era di scenette di vita senza molta attrattiva. Ora, a lettura ultimata, sono in grado di definire meglio quest’opera: una tragedia! Dell’amore (Amore, sorry, con la A maiuscola) della sofferenza, dell’identità personale e nazionale.
Scenari
L’innocenza degli anni 60/70: il sogno di una vita nuova dove una giovane donna è teoricamente in grado di realizzare il suo schema di vita rivoluzionario e tuttavia rimane paralizzata dall’ambiente che la circonda. Non entro in questioni sociologiche, femministe o altro, non mi interessano qui ed ora.
Totalmente coinvolgente il setting della storia: Istanbul. Ancora Lei, questa volta ripresa nel suo momento di “transizione verso la modernità”, alla rincorsa affannosa dell’occidentalizzazione e dei suoi miti. E tuttavia non riesco a visualizzare queste bellissime donne turche in “minigonna”.
Ma Füsun che fuma sì, mi fa pensare alla Roma del dopoguerra, in parte vissuta da bambina con i miei, in parte raccontata nelle serate familiari. Mi fa pensare a mamma Clara, mia suocera. A suo marito Enrico, Toto per gli amici, piaceva vedere la sua donna con la sigaretta in bocca, le piaceva anche vederla con addosso occhiali finti. “ti conferiscono un’aria da intellettuale, esistenzialista….” Le diceva con quel suo fare da cineasta. Bazzicava il mondo del cinema allora, come direttore di produzione nella società Faro Film di Messina, una compagnia di un certo nome che sfortunatamente ha avuto vita breve.
Füsun che fuma mi fa pensare anche ai film in bianco e nero degli anni ’40 dove flessuose signore alto borghesi fumano sigarette, avvinghiate a lunghi bocchini pregiati, accanto a lucenti telefoni bianchi.
Penso al fumo vissuto dalle donne come strumento di emancipazione. Allora (ma anche oggi e forse oggi di più), giovani donne ostentavano questo feticcio per segnalare al mondo:
“eccoci, siamo qui, forti, decise e pronte ad affermarci nella società”
Il Bosforo rimane magico: le sue luci, i suoi scenari, i suoi tramonti, il suo mitico invito al viaggio. Il museo dell’innocenza che raccoglie tutti questi momenti e gesti e azioni, vecchi e nuovi, antichi e moderni, alla fine cade in rovina e fa morire le illusioni, ma l’amore no! Ci penserà Pamuk, presenza narrativa e autore del romanzo, a recuperare il progetto… forse.
Il Bagatti-Valsecchi di Milano, tra i tanti musei visitati da Kemal e descritti con intensità pari alla ricerca dell’amore è, con la sua storia, la rappresentazione metaforica di questa decadenza, del legame troppo personale tra opere mostrate e ideatore del progetto.
La foto di Füsun al concorso di bellezza chiude il racconto e ci riporta anche all’intenso momento di intimità tra Kemal e suo padre che gli confessa un’esperienza d’amore vissuta in modo totalizzante, proprio come quella di Kemal (destino familiare?). La foto invita il lettore a credere ancora nell’innocenza dei gesti d’amore.
Il romanzo mi è piaciuto, ma decisamente meno di My name is Red, confermo però il mio coinvolgimento totale nella vita, dei personaggi: sono persone vere? sono create da Pamuk?Non voglio risposte, mi basta l’emozione che la loro “verità narrativa” ha provocato in me.
Non mi è piaciuta invece l’intrusione finale dello scrittore nel romanzo. Ha interrotto la magia. Ha rischiato di fare di una favola una cronaca.
Una tecnica narrativamente funzionale a creare un ritmo lento e ripetitivo per farci capire e sentire che, se si ama profondamente, non ci si può stancare di inseguire il proprio sogno, ha contribuito a determinare una qualche stanchezza nel mio ritmo di lettura, che, tuttavia, non mi ha impedito di arrivare con soddisfazione alla fine della storia.
Il romanzo mi ha dato gioia, mi ha fatto pensare e mi ha confermato, se ne avessi ancora bisogno, che leggere è uno dei massimi piaceri della vita…almeno della mia!
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