La Newsletter della Casa delle Donne di Padova è uno spazio editoriale dove vengono trattati argomenti che spaziano dalla descrizione delle attività della casa, all’attualità, ai diritti delle persone, alle storie di personalità della cultura, ai consigli di lettura. Tutti gli articoli privilegiano uno sguardo sul mondo femminile.
“Donne, Vita, Libertà!” grido di lotta a Teheran, in nome della “scintilla” Jina/Mahsa Amini

“Donne, vita, libertà” sono tre parole che racchiudono un ambizioso progetto politico, una illuminata visione del mondo che ha l’obiettivo di trasformare la società iraniana degli Ayatollah in una realtà dove le donne possano realizzare pienamente le loro potenzialità. “Donne, vita, libertà” è lo slogan urlato durante le manifestazioni anti governative innescate dall’uccisione di Mahsa Amini.
Il 13 Settembre 2022 a Teheran la polizia morale o pattuglia della morte, addetta al controllo dei comportamenti, soprattutto di quello delle temibilissime donne, arresta Jina (questo è il suo vero nome, curdo e proibito in Iran. Mahsa è il nome persiano obbligatorio sul passaporto), giovane curda-iraniana di 22 anni accusandola di non indossare il velo in modo corretto e appropriato.
Forse una folata di vento le aveva scomposto i capelli facendole scivolare il velo di quel tanto che l’avrebbe portata alla morte: vento criminale e complice! Forse un momento di rilassamento in una giornata serena trascorsa con i genitori nella capitale le ha fatto dimenticare la rigida regola. Forse, forse.
Purtroppo Mahsa-Jina muore dopo essere stata trattenuta nei locali della polizia morale. Viene uccisa a bastonate da uomini di uno stato che fa della repressione di ogni genere di libertà, specialmente delle donne, il credo da osservare ciecamente e brutalmente. Dopo alcuni giorni muore anche Hadith Najafi “la ragazza della coda”, quella dai capelli biondi mostrati senza paura.
Il troppo è troppo! La scintilla è scoccata. Donne, uomini, gruppi sociali emarginati, giovani e meno giovani abbracciano simbolicamente Mahsa e scendono in moltissime piazze dell’intero paese, per dimostrare la loro rabbia contro il regime, rischiando anche la vita. Le donne compiono il rivoluzionario gesto di scoprire i capelli, di tagliarne una ciocca in pubblico e di sventolare orgogliosamente e coraggiosamente il velo o di bruciarlo. Molti manifestanti vengono arrestati, molti vengono uccisi durante la feroce repressione armata o nelle segrete stanze delle prigioni iraniane.
Ma il vento della protesta non si placa. Continua a soffiare tra gli studenti della prestigiosa Università di tecnologia Sharif di Teheran, frequentata anche da donne. L’università diventa uno dei centri propulsori della contestazione e delle istanze di emancipazione femminile, sebbene venga subito sottoposta a restrizioni di movimento e di azione.
In questi ultimi giorni scendono in piazza in massa anche i liceali. Il 93% dei manifestanti ha meno di 25 anni. Sono spinti da un bisogno profondo di libertà, di rispetto dei diritti civili, di bisogno di vivere in un paese dove tutte le persone possano esprimersi liberamente. Sono giovani cresciuti con Internet e con i social media, vengono a contatto con il mondo e con le sue diversità, con le sue bellezze. E sebbene il governo tenti disperatamente di chiudere ogni fonte di informazione e interazione in rete, i “nativi digitali” non si fermeranno.
Il regime reagisce brutalmente, ordinando alle forze di polizia di sparare sulla folla, anche dagli elicotteri, con lo scopo di seminare il terrore tra i cittadini, anche tra quelli che casualmente si trovano accanto a chi manifesta pacificamente per l’abolizione dell’obbligo del velo e per la libertà di espressione. Di fatto viene messa in campo la politica del terrore.
La giornalista Sabrina Provenzano (Il Fatto Quotidiano-Esteri 4 Ottobre 2022) intervista un’attivista iraniana di 30 anni che lavora a Teheran. Sono diverse e tutte interessanti le domande che le rivolge, tra queste: “Rispondete a partiti politici?” La donna risponde: “Noi veniamo tutti da famiglie conservatrici. Io non sono mai stata attiva in politica. Mia madre è religiosa, non ha mai messo in dubbio il vestire il Hijab o il regime. Ma ora mi ha detto, va in piazza, perché non protestiamo più solo per l’Hijab, vogliamo la fine del regime. La situazione è orribile. La crisi economica spaventosa, senza uscita, la repressione ormai insopportabile. Per questo la morte di Mahsa Amini ha fatto da scintilla, per questo alle manifestazioni partecipano anche uomini e tante generazioni diverse. la polizia morale è ovunque. Io portavo sempre il Hijab; l’hanno scorso hanno fermato anche me, mi hanno portato alla stazione di polizia, ho finto di non avere i documenti.” Chiede ancora Sabrina: “Cosa succede a chi viene arrestato?”- “ Torture, stupri, minacce alla famiglia. Oppure scompaiono, non si sa più niente di loro”.
Raffaella Sarti (Società Italiana delle Storiche) riflette il pensiero di moltissime donne che con lei vogliono esprimere “piena solidarietà a tutte e tutti coloro che, nonostante la dura repressione di questi giorni, continuano a chiedere, in Iran, il rispetto delle libertà fondamentali, l’uguaglianza, la giustizia sociale e la fine di un sistema patriarcale oppressivo. In particolare, la SIS è solidale con le donne e gli uomini che non hanno esitato a sollevarsi unite contro la morte di Mahsa Amini. La capacità di resistenza delle donne è emersa in più occasioni nella storia del paese e la tenacia dimostrata ora testimonia una consapevolezza e una strenua volontà di cambiamento che oggi bisogna sostenere a livello internazionale, seguendo le indicazioni che arrivano dalle piazze iraniane e da quelle che si stanno costruendo in tutto il mondo sotto la guida delle comunità in diaspora.”
“La morte di Mahsa Amini ha spezzato i nostri cuori”, con queste parole si rivolge al paese il leader supremo Khamenei nel vano e ipocrita tentativo di calmare le acque, ma Mahsa ha “spezzato” ben altro. In attesa di “spezzare” definitivamente le catene dell’oppressione, ha “spezzato” la paura che fino al momento della sua morte violenta aveva impedito, soprattutto alle donne ma anche agli uomini, di scendere in piazza per rivendicare con forza il proprio diritto alla libertà.
L’ipocrisia diventa spudoratezza e affronto quando il patologo ufficiale iraniano afferma che “la morte di Mahsa Amini non è dovuta a colpi alla testa, agli organi genitali, agli arti, ma al collasso degli organi provocato da una prolungata carenza di ossigeno”. Versione che non regge, come quelle sulla morte delle sedicenni Nika Shakarami e Sarina Esmailzadeh.

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