fatherland-Harris

Incipit “Nubi pesanti avevano gravato su Berlino per tutta la notte, e indugiavano ancora in quello che passava per mattino. Alla periferia occidentale della città, sprazzi di pioggia scorrevano come fumo sulla superficie del lago Havel. Il cielo e l’acqua si fondevano in una distesa grigia, interrotta soltanto dalla linea scura della riva opposta. Là non si muoveva nulla, non brillava una luce. Xavier March, investigatore della squadra omicidi della Kriminalpolizei di Berlino, chiamata comunemente Kripo, scese dalla Volkswagen e alzò il viso verso la pioggia. Conosceva bene quella pioggia particolare…”

Quando Vladimiro mi ha parlato di Fatherland, di   Robert Harris, mi ha subito incuriosito. La ragione? Il contesto: l’Europa del 1964 governata per buona parte da Adolf Hitler. Sì, avete capito bene!

Ho visto da poco la serie TV Babylon Berlin e penso che quell’atmosfera cupa di tragedia deve aver percorso anche il romanzo di Robert Harris, come d’altra parte tutta la letteratura che riguarda la Germania prima-durante-dopo la Seconda Guerra Mondiale. Qui il dopo si sposta in avanti, fin nei fantastici anni ’60, alla vigilia della famosa visita di John Kennedy a Berlino, con Hitler saldamente al potere. Tutto deve essere pronto per ricevere il Presidente degli USA, per essere finalmente accreditati tra le nazioni moderne e “democratiche”.

Devo leggerlo, mi piacciono le distopie.


 E lo leggo…

1964: Hitler, la Germania e il Trattato di Roma…

fatherland Reich

“A ovest dodici nazioni, Portogallo, Spagna, Francia, Irlanda, Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Italia, Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia, erano state unite dalla Germania con il Trattato di Roma in un blocco commerciale europeo. Il tedesco era la seconda lingua ufficiale in tutte le scuole. La gente guidava macchine tedesche, ascoltava le radio tedesche, guardava i televisori tedeschi, lavorava in fabbriche appartenenti alla Germania, si lamentava dei comportamenti dei turisti tedeschi nelle località di villeggiatura dominate dai tedeschi, mentre le squadre tedesche vincevano tutte le competizioni sportive internazionali, eccettuato il cricket che si giocava soltanto in Inghilterra. La Svizzera era l’unico paese neutrale.”(pos.2470)

Man mano che procedo con la lettura mi rendo conto che l’aggancio distopico, che forse ha spinto molti lettori come me a leggere il libro, si dissolve in un brodo spionistico-poliziesco con tutti gli ingredienti più tipici: la bella giornalista Americana che si lascia coinvolgere in una passione impossibile con il commissario tormentato, divorziato, padre infelice di un bambino nazista a cui viene fatto il lavaggio del cervello; ladri di opere d’arte; Svizzera traboccante denaro e tesori illegali; costruzioni enormi-tempio del nazionalsocialismo; documenti preziosi sulla Soluzione Finale nazista di cui tutti sembravano non sapere nulla.

   zurigo9

“«In Svizzera esistono solo tre categorie di cittadini» aveva detto a March l’esperto della Kripo. «Le spie americane, le spie tedesche e i banchieri svizzeri che cercano di arraffare i loro quattrini.» Nel corso dell’ultimo secolo quei banchieri si erano stabiliti intorno alle rive settentrionali del lago di Zurigo come uno strato di ricchezza, il sedimento di una marea di denaro.” (pos 2478)

Ovviamente il commissario March è alternativo, strapazzato, spiegazzato e inutilmente torturato dal nazista terribile di turno. Con lui la storia va avanti tra fughe, rivelazioni, carillon e cioccolatini, intrighi di ogni genere.

E tuttavia  il romanzo si lascia leggere fino alla fine, nonostante l’atmosfera da incubo e le evidenti banalità.