È vero, dopo la delusione di Alla fine di un giorno noioso, avevo deciso che non avrei letto più niente di Massimo Carlotto. Ma, sfogliando la libreria del mio Kindle, ho trovato un suo romanzo acquistato da Vladimiro, Il mistero di Mangiabarche, con protagonista l’Alligatore, ovvero il marchio di fabbrica di Carlotto giallista.
Nell’intervallo tra Estate e Autunno, in attesa di decidere nuove letture, mi sono detta: perché non riprovarci? E l’ho cominciato.
Oggi l‘ho finito. Sapete cosa mi ha spinto fine alla fine? La passione sviscerata di Marco Buratti/Alligatore per il Blues e per il cinema che lo porta alla soluzione del caso. Mi ha coinvolto inoltre il mistero di un luogo, Mangiabarche, vicino a Carloforte, mia prima meta estiva alla scoperta della Sardegna. Tutto il resto è pieno zeppo/zuppo di Calvados, di servizi segreti deviati e non, di mercenari, avvocati buoni e avvocati cattivi, droghe e codice d’onore mafioso. Per non parlare dell’amore e dell’inganno sessuale. L’Alligatore sembra non capire niente delle donne, ha infatti un radar speciale per le femmine “strane”.
Assunto da un avvocato a nome di tre altri avvocati mandati in galera da un altro avvocato disonesto coinvolto in traffici super illeciti, Marco Buratti porta avanti la sua indagine in modo molto peculiare e sul filo della legalità, come nella migliore tradizione noir dei detective all’americana, alcolizzati e provati dalla vita.
Nel caso dell’alligatore sette anni di carcere ingiusto lo hanno reso quello che è. Il gangster Rossini, Milanese e vecchio stampo lo affianca nell’indagine. Marlon Brundu, tragico collaboratore temporaneo, conferisce un tocco di creatività alla compagnia. Il nome rivela la vena cinefila dei suoi genitori…
Tanta roba nel percorso narrativo di questo romanzo, reso piacevole dalla sottile vena di amara ironia che lo attraversa. See you later Alligator…
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