La giovane Lousie Laboine, sapientemente caratterizzata da Simenon, è diventata una vicina di casa o la ragazza che lavora alla panetteria di sotto o la baby sitter di Madame X.
Di Louise, la jeune morte, siamo riusciti a cogliere, passo dopo passo, l’anima disperata. Di lei abbiamo visualizzato le spalle strette, quasi incassate in un collo lungo, rattrappito dalla timidezza, dalla solitudine e dalla tristezza. Come pezzi di un mosaico, le sue fragilità si sono sistemate nella testa di Maigret, una accanto all’altra, dentro l’altra, giù nel profondo di un’ infanzia infelice, accanto a una mamma inconsistente e pericolosa.
Il commissario l’ha cesellata fino a darle corpo e provare per lei una profonda pietà. Ne è testimone quel “purtroppo” finale che, parlando al telefono con il collega americano, gli è sfuggito di bocca a proposito del “gruzzolo” destinato a Louise dal padre malfattore che tornerà invece, giustamente, nei forzieri della banca derubata o dell’ assicurazione.
Povera Louise, persa tra le acque spumeggianti di Nizza e le gocce brillanti di pioggia sul selciato di morte, nella notte parigina. La costruzione del suo personaggio nella storia è lenta e progressiva, come una passeggiata verso una meta fatale: il suo assassinio.
La storia è narrata con tecnica classica, onnisciente, dove ogni capitolo si apre con un’idea chiave che lo riassume, per guidare il lettore. E questo mi fa venire in mente, prima di tutti gli altri, Henry Fielding e il suo Tom Jones. L’aria americana sembra conferire a Simenon un quid narrativo in più, se possibile.
Rientra tra le perle narrative anche la storia parallela del triste ispettore Lognon, ben noto come “il lagnoso”, che si da sempre un gran da fare. E tuttavia, nonostante tutti i suoi sforzi e talune intuizioni brillanti, rimane sempre un passo indietro al “capo” indiscusso, Monsieur le commissaire, Jules Maigret.
Copertina molto sofisticata per l’edizione Il Sole 24 Ore, che però allude a qualcosa di diverso. Ma è comunque bella.
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