M. Miller-CIRCE.  Affascinante ritratto di una donna-dea-maga.

Non capita spesso che la lettura di un romanzo provochi emozioni così profonde come quelle generate da Circe di Madeline Miller. Mi ha riportato nel mondo incantato del mito con i suoi personaggi, metà mortali e metà divini, le cui gesta popolano da tempo immemore l’immaginario di milioni di persone.

LA STORIA

La storia di Circe è affascinante. Il mio confine di conoscenza era fermo al momento in cui incontra Odisseo e trasforma i suoi scostumati uomini in porci. Di lei non era rimasto che il ricordo di una donna da temere per la sua cattiveria. Benedetta ignoranza!  Nella storia narrata da Miller ho incontrato una donna eccezionale, eterna dea e fragile mortale allo stesso tempo. Una donna che osa ribellarsi al potente Elios, suo padre e che viene per questo punita con l’esilio a vita nell’isola di Eea. La ribellione continua fino all’ultima sfida nel momento in cui deve necessariamente uscire dall’isola e dunque rompere il “patto” con il  padre. Circe ha ancora una missione molto importante da compiere, legata al suo primo potente maleficio  su Scilla. E vuole portarla a termine con l’aiuto di Telemaco.

IL TEMPO

Il tempo per gli dei  e per i loro “affini” è una variabile ancor più variabile di quanto si possa pensare. Circe vive attraverso ere in cui i mortali nascono, crescono, muoiono nell’arco di 70 anni, se tutto va bene. In questi lunghi anni Circe vive intense esperienze amorose con Glauco pescatore divenuto magicamente Dio marino, con  Dedalo, artigiano raffinatissimo e amante dolcissimo,  Ulisse tutmultuoso e appassionato semi dio e infine Telemaco figlio di Ulisse e Penelope, in cerca di una normalità tranquillizzante. 

CIRCE MADRE

Circe sperimenta anche  la vita e l’esperienza di una donna mortale che diventa madre. Telegono è infatti  il figlio di Ulisse, che lascia l’isola per sempre, ignaro diel “lieto” evento. Circe vive il rapporto con il figlio come una mortale, con tutte le paure e le incertezze che una madre prova di fronte a un esserino da crescere che, nel caso di Telegono, strepita in continuazione mettendo a dura prova la sua resistenza. Circe, comunque, non disdegna l’uso di  mezzi  da super maga per calmarlo, proteggerlo e tenerlo lontano dai guai.

 “La sua mortalità era sempre con me, costante come il pulsare di un secondo  cuore. adesso che riusciva a stare seduto, ad allungare una mano e ad afferrare, tutti gli oggetti più semplici della mia casa mostravano denti nascosti. Le pentole che bollivano sul fuoco sembravano volergli balzare sulle dita. Le lame scivolavano giù dal tavolo mancandogli la testa di un pelo. Se lo mettevo giù, arrivava a ronzare una vespa, da una crepa nascosta zampettava fuori uno scorpione e rizzava la coda. Le scintille sembravano sempre esplodere dal camino, proiettandosi verso la sua carne delicata. Riuscivo a deviare in tempo ognuno di quei pericoli, perché non ero mai a oltre un passo da lui, ma ciò non faceva che aumentare il mio timore di chiudere gli occhi, di lasciarlo anche solo per un istante…” p. 253

TELEMACO

Dopo centinaia di anni, Circe trova in Telemaco l’uomo che la farà veramente felice, come una mortale, pur non rinunciando definitivamente alle sue prerogative di maga divina. Con lui trova una dimensione familiare che, come figlia di Elios, non aveva mai conosciuto. Da questa unione nascono due bambine.

“Telemaco scende dal letto per venirmi a  cercare. Siede con me nell’oscurità che odora di erba, mi tiene la mano. Entrambi i nostri visi sono rugosi, adesso, segnati dagli anni. Circe, dice, andrà tutto bene. Non sono le parole di un oracolo nè di un profeta. Sono parole che potresti dire a un bambino. L’ ho sentito che le diceva alle nostre figlie, nel cullarle per farle riaddormentare dopo un incubo, nel medicare le loro piccole ferite, nel placare qualsiasi loro tormento. Sotto le dita, la sua pelle mi è familiare quanto la mia. Ascolto il suo respiro, tiepido sull’aria notturna, e in qualche modo mi conforta. Lui non intende dire che non fa male. Non intende dire che non siamo spaventati. Solo questo: che siamo qui. È questo che vuol dire nuotare nella corrente, camminare sulla terra e sentirne il tocco sotto i piedi. È questo che significa essere vivi.” ppgg 396/397

DONNE 

Il rapporto tra le donne della storia è molto interessante: la madre ingombrante, la sorella rivale, l’ intrigante Scilla che pagherà cara la sua insolenza e la presunta relazione con Glauco; Medea sua nipote e figlia dell’amato fratello; le ninfe che fanno il tirocinio nella sua isola e, infine, Penelope. Quest’ultima relazione è ricca di spunti: sono madri e sono state le donne amate da Ulisse, padre dei loro figli. Sorprende che, dopo la morte accidentale di Ulisse, di cui Telegono approdato a Itaca per conoscere finalmente suo padre si sente colpevole, Telemaco e Penelope chiedano asilo a Circe nella sua isola. 

Lo sguardo di Circe su Penelope

“La guardai, vivida nella cornice della mia soglia come la luna nel cielo d’autunno. I  suoi occhi nei miei, grigi e fermi. Si dice che le donne siano creature delicate, come fiori, come uova, come qualsiasi cosa che possa essere schiacciata in un momento di negligenza. Se mai ci avevo creduto, non era più così…” p.327

UOMINI 

Dei e potenti si confermano dispettosi e prepotenti, sempre a caccia di piacere e potere. Telegono (nato lontano) eTelemaco (colui che combatte da lontano) sono  figli del semidio Ulisse e, come nella migliore tradizione, vivono profondamente  un conflitto amoroso con il padre. Sono struggenti le parti del romanzo in cui Telegono  beve avidamente dalla bocca di Circe le avventure di Ulisse,  spesso pietosamente alleggerite dei loro tratti  più cruenti.

MAGIE

Tutte le sezioni del romanzo in cui Circe esercita i suoi poteri magici e divini sono momenti di puro godimento, per la loro capacità di proiettare chi legge nel mondo mitico e misterioso delle divinità e dei loro inspiegabili artifici.

CONCLUSIONE

L’aspetto  che mi è piaciuto di più del romanzo di Miller è la convivenza letteraria di mortalità e immortalità,  di mito, leggenda e storia. Spesso mi sono vista accanto a Circe sulla sua isola durante le sue lunghe passeggiate solitarie alla ricerca delle erbe più sofisticate con cui creare i sortilegi più potenti, malefici o benefici che fossero. Circe la maga, Circe la medica, Circe la filosofa, Circe la madre, Circe l’amante, Circe l’amica. La complesstà di questo personaggio che “cresce” nel corso della storia e diventa sempre più indipendente dalle interferenze divine, è il cuore del fascino che il romanzo esercita sul lettore. Concludo citando  Maria Grazia Ciani che, nella postfazione La voce umana, descrive la “metamorfosi” di Circe secondo Miller:  

“Molti sono gli dèi in grado di mutare la propria forma (basti pensare a Proteo e Teti) e, nello stesso tempo, di trasformare quelle altrui. La metamorfosi di Circe, invece, è tutta interiore, una mutazione singolare e, se vogliamo, “moderna”, forse l’unica di questo genere nel mondo antico. Non si tratta, però, di una “modernizzazione” né di un’idealizzazione vagamente femminista. Il fascino sottile del romanzo-che concede alla fantasia il massimo nei limiti della misura mitica- si muove su una solida base di conoscenza, secondo una comprensione del particolare spirito della grecità, sempre oscillante tra verità, leggenda, invenzione, menzogna.” p.411


L’ AUTRICE