Passato e Presente, il programma di Rai Cultura, ha aperto una finestra dalla quale mi sono affacciata volentieri per cogliere l’eco Garibaldina, attraverso le parole di un grande scrittore.
“Alexandre Dumas e il Risorgimento Italiano. Alexandre Dumas è il celebre e prolifico romanziere francese noto al grande pubblico per i suoi avventurosi romanzi storici, tra i più noti “Il conte di Montecristo” e la trilogia de “I tre moschettieri”.
Ha attraversato l’Ottocento, il secolo del romanticismo e dei moti rivoluzionari europei, non solo come scrittore, ma come patriota francese e come carbonaro italiano nel 1832, attività poco nota della sua vita. A “Passato e Presente”, il programma di Rai Cultura in onda martedì 10 marzo alle 13.15 su Rai3 e alle 20.30 su Rai Storia, Paolo Mieli e Lucio Villari analizzano il rapporto tra il grande romanziere francese e il Risorgimento italiano.
Qualche decennio dopo Dumas incontrerà Giuseppe Garibaldi, e darà un grande contributo alla diffusione del mito dell’eroe dei due mondi. Lo scrittore parteciperà personalmente alla spedizione dei Mille e ne racconterà le mitiche gesta nel volume “I Garibaldini”. Ma quanto c’è di romanzato sul personaggio di Garibaldi nella versione di Dumas?” RAI Ufficio Stampa
In Garibaldi, Dumas fa raccontare dallo stesso protagonista il suo percorso di vita e di lotta per la libertà, fino alla sanguinosa guerra in difesa della Repubblica Romana. Sembra la cronaca di un corrispondente di guerra al fronte. Il ritmo è serrato, realistico, incalzante e profondamente empatico, dal momento che il narratore è il protagonista degli eventi raccontati.
Echi virulenti…cosa fa l’eroe mentre il morbo infuria?
“Al mio ritorno ritrovai Marsiglia pressappoco nello stato in cui la vide Monsieur de Belzuce all’epoca della peste nera nel 1820. Il cholera-morbus faceva terribile strage degli abitanti. Molte persone avevano abbandonato la città, che sembrava un cimitero. I medici chiedevano dei benevoli. Tale è il nome che si dà negli ospedali a quelli che prestano volontariamente il loro aiuto. Mi offrii insieme a un triestino che era venuto da Tunisi con me. Entrammo come aiutanti nell’ospedale, e ci dividemmo le fatiche diurne e notturne. Quel servizio durò un paio di settimane. In capo a quindici giorni, poiché il colera era diminuito d’intensità.”
In alcuni passaggi Garibaldi, impegnato negli affanni della guerra, “lascia” il posto ad altri suoi compagni di lotta. Il regista di questo racconto corale è lui, Alessandro Dumas, lo scrittore che ha infiammato milioni di lettori con i suoi racconti d’avventura, d’arme, d’amore e di passione. Il suo intento è quello di accompagnare l’ Eroe dei Due Mondi nelle sue gesta e di contribuire a costruire e consolidare la sua immagine mitica nell’immaginario collettivo dei paesi che ha contribuito a “liberare”. E non solo.
Una lettura gradevole, e utile a noi Italiani per “rinfrescare” le pareti della nostra comune casa della memoria.
Assaggi
I maestri di Garibaldi– “Fra i maestri, ricordo con particolare riconoscenza papà Giovanni e il signor Arena. Dal primo trassi poco profitto, perché ero più disposto a giocare e a vagabondare che a studiare. Tuttavia, mi rimane il rimorso di non avere studiato l’inglese come avrei potuto fare, rimorso ridestatosi in tutte le numerose circostanze nelle quali ho avuto a che fare con inglesi. Inoltre, le lezioni di papà Giovanni, che era amico di casa, furono poco proficue a causa della dimestichezza che avevo con lui. Al secondo, eccellente maestro, debbo quel poco che so; ma soprattutto gli serbo eterna riconoscenza per avermi iniziato alla mia lingua madre con l’assidua lettura della storia romana. Spesso in Italia, e specialmente a Nizza, la cui vicinanza con la Francia influisce sull’educazione, si commette la grave colpa di non istruire i bimbi nella lingua e nella storia; io ne sono dunque debitore a quelle prime letture nonché alla persistenza quotidiana di Angelo, mio fratello maggiore, nel raccomandarmene lo studio: quel poco di conoscenza storica che sono giunto a possedere e la facilità con cui mi esprimo sono merito loro. I primi viaggi Terminerò questo primo periodo della mia vita con il racconto di un fatto, che sebbene di lieve importanza, darà un’idea della mia disposizione alla vita avventurosa. Stanco della scuola e annoiato”
Fughe adolescenziali– “«O primavera, gioventù dell’anno! o gioventù primavera della vita!», ha detto Metastasio. Io aggiungerò: come tutto diventa bello al sole della gioventù della primavera! La mia vocazione era di correre sui mari.”
Roma regina- “Lungi dal diminuire, il mio amore per Roma ingigantì nella lontananza e nell’esilio. Spesso, fin troppo spesso, dall’altro emisfero, alla distanza di tremila leghe, domandavo al cielo la grazia di rivederla. Roma era per me l’Italia, perché io non so concepire l’Italia che nella riunione delle sue sparse membra, e Roma è per me il vero simbolo dell’unità italiana.”Sansimonisti–“L’apostolo cominciò col dimostrarmi che l’uomo, quando difende la sua patria o quando attacca un altro paese, non è che un soldato, ammirevole nella prima ipotesi, ingiusto nella seconda; ma che l’uomo il quale, facendosi cosmopolita, offre la sua spada e il suo sangue a ogni popolo che lotta contro la tirannide, è più di un soldato, è un eroe. Improvvisamente una luce irradiò il mio spirito.”
Fuga verso la libertà– “avvicinai alla finestra come per guardare fuori – dalla finestra al suolo vi erano circa quindici piedi – feci un salto, e mentre i doganieri, meno lesti o più amanti delle loro gambe, scendevano la scala per raggiungermi, mi trovai sulla strada maestra, dalla quale uscii subito per internarmi nella montagna. Non conoscevo la via, ma ero marinaio: mancandomi la terra, mi restava il cielo, gran libro su cui ero solito leggere la mia strada. Con l’aiuto delle stelle cercai dunque di orizzontarmi, e mi diressi verso Marsiglia. Il giorno dopo, di sera, giunsi in un villaggio del quale non ricordo il nome.”
Garibaldi poeta– “a proposito, molti miei amici dicono che sono un poeta. Ebbene, se non si può essere poeti che a condizione di comporre l’Iliade, la Divina Commedia, le Meditazioni di Lamartine, o le Orientali di Victor Hugo, io non sono poeta; ma se per esserlo basta passare intere ore a cercare nell’acqua azzurra e profonda i misteri della vegetazione sottomarina o restare in estasi dinanzi alla baia di Rio Janeiro, di Napoli o di Costantinopoli; se basta sognare una tenerezza filiale, le rimembranze infantili o gli amori dell’adolescenza in mezzo alle fucilate o alle palle di cannone senza riflettere che il vostro sogno potrebbe finire con la testa fracassata o un braccio monco, allora io sono poeta.”
In cerca di cibo– “Lo spettacolo che si offriva al mio sguardo e sul quale il mio occhio si volgeva per la prima volta, per essere degnamente e completamente descritto avrebbe bisogno della penna di un poeta o del pennello di un artista. Io vedevo mareggiare davanti a me, come onde appena frementi, gli immensi spazi delle «pianure orientali», così chiamate perché si stendono sulla costa orientale del fiume Uruguay, che sbocca nel Rio de la Plata, di fronte a Buenos-Ayres. Là non si vedeva che l’opera di Dio, la terra come uscì dalle mani del Signore nel giorno della creazione. È una vasta, immensa, infinita prateria che, simile a un tappeto di verzura e di fiori, non muta che sulle rive del fiume Arroya, dove si alzano e si agitano al vento certi graziosi alberetti dalle splendide foglie.”
Poesia– “La padrona di casa mi invitò gentilmente a sedere per aspettare il ritorno di suo marito. Continuando a discorrere, la graziosa signora mi chiese se conoscessi le poesie di Quintana. Alla mia risposta negativa, mi regalò un volume di questo poeta perché in tal modo potessi, per amor suo, imparare lo spagnolo. Io allora le chiesi se avesse scritto anche lei dei versi. – Come si può, – rispose, – non diventare poeta davanti a tanta magnificenza della natura? E allora, senza farsi pregare, mi recitò alcuni versi che trovai pieni di sentimento e molto armoniosi. Avrei passato tutta la sera e tutta la notte ad ascoltare, senza darmi il minimo pensiero del povero Maurizio che mi aspettava accanto alla zattera; ma il marito, ritornando, ruppe quell’aura poetica per farmi ricordare lo scopo materiale della mia visita. Gli esposi le mie necessità, e fu convenuto che il giorno dopo avrebbe condotto un bue alla spiaggia e me lo avrebbe venduto. All’alba.”
Squadrone cosmopolita– “il mio squadrone, vera banda cosmopolita, era composto di uomini di tutti i colori e di tutte le nazioni. Io li trattavo con bontà forse eccessiva per uomini del genere; ma una cosa posso affermare, ed è che non ebbi mai a pentirmi di quella bontà, perché ognuno obbediva prontamente di miei ordini, senza mai pormi nella dura necessità di punire qualcuno.”
Foresta amazzonica– “feriti come meglio si poteva, cominciammo la nostra marcia abbandonando il boschetto e cercando di seguire il margine della foresta. Quella foresta, forse la più grande che vi sia al mondo, va dai terreni alluvionali della Plata a quelli dell’Amazzonia, per una estensione di trentaquattro gradi di latitudine: non conosco la sua estensione in lunghezza, ma deve essere immensa.”
Contro gli oppressori– “Ho servito in America la causa dei popoli oppressi e l’ho sinceramente servita. Ero, dunque, nemico dell’assolutismo laggiù come in Europa, amante dei regimi in armonia con le mie opinioni, e di conseguenza avverso ai sistemi opposti… Qualche volta ho ammirato gli uomini, li ho spesso compianti, odiati mai. Quando ho dovuto riconoscerli egoisti e malvagi, ho sempre attribuito le loro cattiverie e il loro egoismo all’incostanza dei loro caratteri.”
Anita– “Certo, dovette essere uno spettacolo straordinario, vedere quell’intrepida donna, in una notte di tempesta, volare al galoppo attraverso le selve e le rocce, nella luce dei lampi e nel fragore del tuono. Anita narrava che quattro cavalieri, posti di guardia al guado del fiume Canoas, fuggirono terrorizzati da quella fosca visione. Intanto, l’audace donna attraversa il torrente che a causa delle piogge si era mutato in fiume precipitoso: lo attraversa a nuoto, attaccata alla criniera del cavallo, incoraggiando il generoso animale con la sua forte voce. Una tazza di caffè inghiottita in fretta e furia a Lages è tutto quanto prende l’intrepida viaggiatrice nello spazio dei quattro giorni da lei impiegati per raggiungere a Vaccaria il corpo del colonnello Aranha. Anita e io ci ritrovammo dopo una separazione di otto giorni e dopo esserci creduti morti ambedue. Chi può descrivere quanto grande sia stata la nostra gioia?”
Sotto l’egida del Vesuvio – “Nel mese di maggio fu benedetta la bandiera. Era di stoffa nera con sopra dipinto il Vesuvio, emblema dell’Italia e delle rivoluzioni che racchiudeva in seno. Venne affidata a Sacchi, giovanotto di venti anni, che si era battuto valorosamente nel combattimento di Cerro. Era quello stesso che avrebbe combattuto con me a Roma e che oggi è colonnello.”
La legione Italiana-“Ritornammo in trionfo a Montevideo. Il giorno dopo Pacheco convocò la legione, la encomiò, la ringraziò e consegnò un fucile d’onore al sergente Loreto. Il combattimento aveva avuto luogo il 28 marzo 1843. Ormai ero tranquillo: la legione aveva ricevuto il battesimo del fuoco. Nel mese di maggio fu benedetta la bandiera. La legione italiana con quei due combattimenti aveva destato tale spavento nelle file nemiche, che difficilmente in seguito si verificarono altri assalti alla baionetta.”
Donazioni e rifiuti: lettere d’onore– “da notarsi che questo generoso patriota per fare a noi un tale dono, sacrificava parte del suo patrimonio. Le terre che ci offriva erano di sua proprietà, non della Repubblica. Perciò, il 23 maggio seguente, epoca in cui mi fu consegnata la lettera, io gli risposi in questi termini: “Eccellentissimo signore, Il colonnello Parodi, alla presenza di tutti gli ufficiali della legione italiana, secondo il vostro desiderio mi consegnò la lettera che aveste la bontà di scrivermi in data 30 gennaio, e, unito alla lettera, un atto con il quale voi fate spontaneo dono alla legione italiana di terre tolte ai vostri possedimenti, poste tra l’Arroyo degli Avenas e l’Arroyo-Grande, al nord del Rio Negro, nonché di bestiame e fattorie esistenti in quei terreni. Voi dite di volerci fare tale dono in ricompensa dei servizi da noi prestati alla Repubblica. Gli ufficiali italiani, dopo aver udito il testo della lettera e preso nota dell’atto in essa contenuto a nome della legione italiana, hanno dichiarato all’unanimità che chiedendo armi e offrendo il loro braccio alla Repubblica non avevano inteso ricevere altra ricompensa oltre l’onore di dividere i pericoli con gli abitanti del paese che offerse loro l’ospitalità. Agendo in tal modo, essi ubbidivano alla voce della loro coscienza. Avendo soddisfatto quanto essi ritengono semplicemente l’adempimento di un dovere, continueranno, finché il bisogno lo esigerà, a dividere i travagli e i pericoli dei nobili montevideani, ma non desiderano altro premio e altra ricompensa alle loro fatiche.”
Cronaca di guerra– “Era tempo: la cavalleria nemica già ci avvolgeva ai fianchi e alle spalle. La mischia fu terribile. Parecchi uomini della fanteria nemica dovettero la loro salvezza a una rapida fuga. Questo mi diede tempo di far fronte alla cavalleria. Vedendo gli italiani combattere come dei giganti, una ventina di cavalieri, condotti da un bravo ufficiale chiamato Vega, vergognandosi della fuga di Baez, volsero le redini, preferendo dividere il nostro pericolo piuttosto che continuare quella ritirata. Con straordinario coraggio, passarono in mezzo alle file nemiche e vennero a prendere posto al nostro fianco.”
Il papa non risponde.Garibaldi parte per l’Italia– “Invano si attese la risposta. Nessuna notizia ci giunse né dal Nunzio, né da Sua Santità. Allora si decise di partire comunque per l’Italia con una parte della nostra legione. La mia intenzione era di infervorare la rivoluzione dove già era in armi e di suscitarla dov’era ancora sopita, come ad esempio negli Abruzzi. Però nessuno di noi aveva un soldo per affrontare le spese della traversata.”
Il Colonnello Medici prende il ruolo di narratore– “Con l’aiuto di un amico di Garibaldi, il bravo colonnello Medici, riprenderemo ora il racconto dal punto in cui Garibaldi lo ha lasciato. La sua partenza per la Sicilia ci obbligherebbe a chiudere qui le sue memorie, se Medici non si fosse assunto il compito di continuarle. Bisogna pure confessare che la testimonianza di un altro spesso è preferibile al racconto diretto: quando Garibaldi racconta, dimentica spesso la parte che lui stesso ha sostenuto per esaltare la bravura dei suoi compagni. Lasciamo, dunque, la parola al colonnello Medici.”
Tra Lazio e Umbria, verso Roma– “Per distrarsi forse dai dolori strazianti che gli mordevano la carne, mi mostrò col dito l’aspetto grandioso di quella selvaggia natura: ci trovavamo in mezzo a strane montagne, le cui cime di granito sembravano castelli edificati dai Titani. Quel paesaggio alla Salvator Rosa, reso tetro dalla bufera, e più minaccioso ancora dal fischio del vento, esaltò l’anima di Garibaldi.”
Emilio Dandolo racconta Garibaldi– “Garibaldi, dotato di una semplicità patriarcale così grande che si direbbe quasi simulata, somiglia piuttosto al capo di una tribù indiana che a un generale. Ma quando il pericolo si avvicina ed è imminente, allora è veramente ammirevole per il coraggio e il colpo d’occhio. Quello che potrebbe mancargli come scienza strategica secondo le regole dell’arte militare è sostituito da una meravigliosa forza. Anche Emilio Dandolo – povero giovane ferito nell’assedio di Roma, dove fu ucciso suo fratello, e che morì di tubercolosi a Milano – ha lasciato un racconto degli avvenimenti ai quali prese parte.
Villa Adriana a Tivoli– “Alle cinque di sera i soldati ritornarono nelle loro file, e marciarono verso le rovine di villa Adriana, che giace ai piedi della montagna su cui si erge Tivoli. Sulle prime il generale aveva avuto l’idea di accamparsi là: ma cambiò parere, e prima fece eseguire una completa esplorazione nei dintorni. Non mandò truppe a Tivoli perché solo agli estremi si sarebbe deciso a entrare nella città. In mezzo alle rovine di villa Adriana, che formano una specie di fortezza, l’intera brigata piantò il campo per gli uomini e i cavalli; le camere sotterranee di quell’immenso edificio erano abbastanza conservate per potervi alloggiare. Quella villa venne edificata dallo stesso Adriano: è lunga due miglia e larga uno. Una piccola foresta di aranci e di fichi è cresciuta sull’area dell’antico palazzo.”
Ciceruacchio patriota, eroe, martire– “Era un coraggioso patriota, che più tardi pagò ben caro il suo patriottismo. Si chiamava di soprannome Ciceruacchio: il suo vero nome era Angelo Brunetti. Non volle mai ricevere un soldo, né per i suoi lavori, né per altro. Quando lo conobbi, nel 1849, aveva tutta la barba bionda che cominciava a farsi grigia, capelli lunghi e ricciuti, il collo grosso e corto, ampio il petto, la statura alta e l’andatura svelta. Nessun miserello, entrando in casa sua, usciva a mani vuote.”
Eroi Garibaldini:Ugo Bassi– “Apparteneva dunque alla razza latina ed ellenica, le due razze più belle e più intelligenti del mondo. Aveva capelli bruni e inanellati, gli occhi brillanti come il sole, la bocca sorridente, il collo bianco e lungo, le membra agili e robuste, il cuore infiammato per la gloria e il pericolo, gli istinti leali, lo spirito elevato, focoso, rapido, fatto allo stesso modo per la pietosa contemplazione dell’anacoreta e gli ardori irresistibili dell’apostolato. I suoi studi non furono il frutto di una lunga fatica, ma piuttosto di una conquista: velocissimamente compì il corso di letteratura, imparò la scienza e le arti. Come specchio di ogni scibile umano, sapeva a mente l’intero poema di Dante. Scriveva correntemente in inglese e in francese e quando gli avvenimenti lo conducevano in mezzo alle nostre mischie, portava costantemente con sé Shakespeare e Byron. Il grande tragico inglese e il poeta che morì a Missolungi udivano i patriottici battiti del suo cuore.”
Duello mortale a San Pietro– “L’artiglieria francese, per impedire che si riparassero le nostre brecce, tuonò per tutta la notte. La tempesta del cielo si unì a quella della terra. Il tuono rumoreggiava, il lampo si incrociava al fuoco delle bombe. Malgrado che fosse la festa di san Pietro, le due armate continuarono il loro duello mortale.”
Notte di luci e ombre a Roma– “Del resto, è costume di Roma illuminarla ogni anno nel giorno di San Pietro. Colui che in quella notte avesse rivolto gli occhi sulla città eterna, avrebbe ammirato uno di quegli spettacoli che lo sguardo dell’uomo contempla una sola volta nel giro dei secoli. Avrebbe veduto, ai suoi piedi, stendersi un’ampia valle disseminata di chiese e palazzi, divisa in due dal corso del Tevere, con a sinistra un colle, il Campidoglio, dove su una torre si agitava al vento il vessillo della repubblica; e a destra il tetro profilo di Monte Mario, dove, al contrario, sventolavano unite le bandiere dei francesi e del papa; sul fondo la cupola di Michelangelo, in mezzo alle nubi, tutta risplendente di luce; finalmente, quasi cornice al quadro, il Gianicolo e tutta la linea di San Pancrazio, pure illuminata, ma dalla luce dei cannoni e dei fucili. Sul fianco di tutto ciò, la lotta fra i due partiti, il giusto e l’ingiusto – la lotta della sovranità del popolo contro il diritto divino, della libertà contro il dispotismo, della religione di Cristo contro quella dei papi.”
Il Garibaldino Dumas chiude la prima parte delle memorie di Garibaldi– “In data 28 maggio 1860, il cinquantottenne Alexandre Dumas, da Genova – dove era giunto dodici giorni prima a bordo della sua goletta Emma –, annotava in una pagina di diario che poi avrebbe riportato nel volume Les garibaldiens: «Avevo appena messo la parola fine alle mie Memorie di Garibaldi; e quando dico “fine” è chiaro che alludo solo alla prima parte. Infatti, con l’andatura che ha preso, il mio eroe promette di fornirmi materia per una lunga serie di volumi! Appena sbarcato, appresi che Garibaldi era salpato alla volta della Sicilia nella notte tra il 5 e il 6 maggio: prima di partire aveva lasciato degli appunti per me all’illustre storico Vecchi 1, nostro comune amico, e aveva pregato Bertani, Sacchi e Medici 2 di darmi a voce altri particolari che non aveva avuto il tempo di dettare. Ecco perché mi trovo da dodici giorni all’Hotel de France, dove lavoro sedici ore su ventiquattro; il che, del resto, non si discosta molto dalle mie abitudini» “
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