I.Silone – FONTAMARA. Dalla parte dei cafoni. Sul Fatto Quotidiano di oggi 19 Settembre 2022 Incipit e “utili” riflessioni per il presente.

Incipit dal Fatto Quotidiano e altre idee…

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Non si finisce mai di scoprire nuove meraviglie in un vecchio libro, letto nel passato e messo lì sul vecchio scaffale a riposare in attesa di un risveglio, di un tocco gentile che lo prenda tra le sue mani e cominci ad accarezzarlo e a ripercorrerlo pagina dopo pagina, parola dopo parola, rallentando le emozioni e i tempi di lettura per non arrivare subito alla fine.  È successo con Fontamara di Ignazio Silone.

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Storia di una comunità

“In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito. »p.29

Fontamara è il racconto corale di una comunità povera, ma così povera e ignorante da attirarsi tutte le sfortune possibili. Tutti i cafoni che la abitano anelano a possedere un pezzetto di terra e molti di fatto lo posseggono. La terra è per loro come una carta d’identità marchiata sulla pelle: il cafone esiste solo se ha una pezzetto di terra da coltivare.  Ma la terra nasconde grandi insidie, quelle naturali legate alla qualità del terreno, al clima, alle disgrazie impreviste come le inondazioni, e quelle umane, quelle di uomini malvagi che giocando sull’ignoranza e sulla semplicità rozza dei cafoni si arricchiscono sempre di più.

Tra queste spicca la figura dell’impresario-podestà. Lui sa come si tratta con i politici, con i cafoni, con le femmine, con i preti e con gli avvocati. E soprattutto con quell’entita malefica che sono le banche. All’inizio della sua ascesa, lui stesso era la banca, prestava soldi, comprava cambiali, taglieggiava e imbrogliava i contadini.

Il comportamento dell’acqua

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Lo sgarbo più lacerante perpetrato dall’impresario ai danni dei Fontamaresi, è il furto legalizzato dell’acqua del ruscello che attraversa tutte le terre dei cafoni. Egli se ne appropria, con la complicità dell’avvocato Don Circostanza che mellifluamente turlupina i poveri cafoni. La lotta per l’acqua a Fontamara assume una valenza contemporanea di enorme effetto. La prossima guerra mondiale si farà per l’acqua…pensano in molti.

Fascismo e consenso

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Siamo in un momento di affermazione del fascismo e l’impresario-banchiere-sindaco diventa podestà. Silone racconta questi eventi di trasformazione con toni a volte grotteschi e paradossali, come nel caso della trasferta organizzata dei cafoni ad Avezzano illusi con il miraggio di un confronto aperto con il podestà sulle condizioni di Fontamara  e utilizzati invece per fare numero e battere le mani ai capoccia del momento. Grottesca la richiesta di portarsi dietro i gagliardetti neri con teschio e la soluzione che il rissoso e incontenibile Berardo Viola e gli altri compagni escogitano non riuscendo a capire cosa siano queste bandiere e dove si possano reperire. Ci penserà San Rocco a risolvere il problema…

 Democrazia e raggiri. Il voto dei morti-vivi

in-marcia2L’ignoranza dei cafoni è l’arma più potente in mano agli sfruttatori. Sono in balia di ogni raggiro. Non riescono a comprendere i meccanismi della legge e si affidano perciò all’avvocato azzeccagarbugli. Hanno grande cuore loro, grande forza fisica, voglia di lavorare fino allo sfinimento, ma alla fine sono vinti dalla loro ignoranza e dal loro egoismo. Hanno pochissimo e quel poco vogliono conservarselo, costo quel che costi.

L’amico del popolo Don Circostanza, fa il miracolo di far votare i morti. Il loro decesso non viene comunicato al Comune dai parenti che in cambio di questa omissione che porterà voti a Don Circostanza, riceveranno una quota fissa per morto votante. L’avvocato diabolico aveva inviato a Fontamara un maestro per insegnare ai cafoni a scrivere il suo nome, lo stesso che poi sarebbe stato scritto sulla scheda elettorale, dai vivi e…dai morti.

“Quel vantaggioso sistema si chiamava, come l’Amico del Popolo ci ripeteva, la democrazia. E grazie all’appoggio sicuro e fedele dei nostri morti, la democrazia di don Circostanza riusciva in ogni elezione vittoriosa”p.60

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Le donne sono mamme mogli, fanciulle in cerca di marito, ma emerge dalla penna di Silone un loro aspetto profondo, ancestrale. Loro intuiscono, sono coraggiose e insieme sfidano l’autorità, tra dolore, fatica e umiliazioni. Una bellissima storia d’amore tra Elvira e Berardo da al romanzo un sapore antico e universale. L’amore vince tutto, cambia gli uomini, ravviva il coraggio, smuove le montagne.

Il giornale dei cafoni

silone-670x500Fantastico è lo spiraglio di svolta politico-rivoluzionaria dei Fontamaresi. Il Solito Sconosciuto che diffonde volantini anti regime tra Roma e l’Abruzzo anima la loro rivolta. Bisogna scrivere un giornale, farne una sorta di “tromba dei cafoni” contro un’autorità sempre più corrotta, contro le tessere, le raccomandazioni, la fame nera che colpisce ormai tutti, anche i cittadini. Maria Grazia ha una bella calligrafia. Lo scriverà lei! Riuniti intorno al tavolo su cui troneggia il Poligrafo, si discute sul nome da dare al foglio di fontamara. Una discussione ingenua ed amara allo stesso tempo, che si conclude con un nome-progetto:

Che fare? Che fare contro i soprusi e l’ingiustizia? Che fare quando hai la quasi certezza che ogni tuo sforzo è vano e che i potenti se la cavano sempre mentre i poveri soccombono inevitabilmente ad un destino crudele? Che fare? Ecc il titolo! Uomini , donne e ragazzi, tutti i Fontamaresi si esprimeranno in un unico coro impressionante. “Che fare?” bisogna ripeterlo sempre, in ogni articolo, per svegliare tutti e chiamare all’azione. Intanto scriviamo. E la prima notizia sarà:

“Hanno ammazzato Berardo Viola.”

Assaggi

Parliamo la stessa lingua ma non parliamo la stessa lingua…un’ assaggio  ad alta voce di Affascinailtuocuore

Piccole e grandi storie

Questa non è una recensione vera e propria, ma piuttosto un’occasione per far incontrare la grande storia di un grande scrittore Italiano con le piccole esperienze di vita di una ragazza marsicana.

La “città”

Complice del piacere di questa lettura, la mia vita ad Avezzano, ”la città”. Un paesone ai tempi della storia, che agli occhi dei Fontamaresi appare come la città corrotta, con il suo imponente tribunale, la grande piazza Risorgimento, le osterie, i negozi, la grande piazza del mercato, la verde e accogliente Villa Torlonia, l’affannato andirivieni di piccoli proprietari, costruttori, avvocati affamati di danaro, banche e giovanotti e signorine eleganti. Io ci sono nata e ne riconosco alcuni tratti.

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Come i Fontamaresi, noi “cittadine avezzanesi” avevamo la nostra grande città che ci attraeva e impauriva, Roma. La capitale era così vicina e così lontana, allo stesso tempo! Ci potevamo andare in poco più di due ore di treno diretto o rapido. Avezzano era allora un importante snodo ferroviario tra Adriatico e Tirreno. Fino al 1969 l’Autostrada dei Parchi (A24) che collegava Roma a Teramo non esisteva e si andava a L’Aquila o a Pescara attraverso tortuose statali di montagna, in corriera o in auto per chi ne possedeva una.

Pescina e la Marsica

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Ho conosciuto i paesini della Marsica, come Pescina, paese natio di Silone e gli altri della Piana del Fucino quando andavamo in visita ai parenti di mia madre o in occasione delle nostre lunghe gite in bicicletta all’Incile e dintorni. A Pescina mi lega anche un ricordo di diciottenne in piena cotta per uno dei ragazzi più corteggiati della “città”. Suonava in una band famosa, all’epoca ne fiorivano una al giorno, ma quella di Giovanni era la più ricercata. E lui si interessò a me. Lo conobbi a una festa dove, nel gruppo di ragazzi e ragazze seduti in circolo sul pavimento c’era anche lui, con la chitarra in mano più bello che mai sotto lo sfavillio dei suoi occhi d’oro, e c’ero  io che cantavo, piena di emozione e incanto,  “La canzone di Marinella”  di Fabrizio De André. Scattò il quid. E decidemmo di vederci  ancora.

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Paura, timidezza, insicurezza sfociarono però in una presunta appendicite che mi portò lontano da lui al sicuro, si fa per dire, nell’ospedale di Pescina (piccolo e tetro) dove lavorava una mia cugina dottoressa che, dopo una visita molto accurata,  decise di operarmi. Finito l’intervento rassicurò mia madre e le confessò anche che, fatto il taglio, era stata presa da una specie di sincope. L’appendice non era apparentemente infiammata-sopra, ma sotto si… Vai a sapere se poi fu proprio così. Fatto sta che sono sopravvissuta e che la degenza mi tenne lontano da quel bellissimo ragazzo dagli occhi d’oro tanto pericoloso! Dopo un paio di suoi tentativi di riprendere il discorso interrotto, che io feci regolarmente fallire, Giovanni se ne andò giustamente in cerca di un altro fiore meno spinoso da cogliere. Ma torniamo a Fontamara.

Silone al cinema e sui muri

Nel 1980 il cinema incontra Ignazio  Silone. Il regista Carlo Lizzani gira ad Aielli, suggestivo paesino marsicano, il film Fontamara con Michele Placido nel ruolo di Berardo Viola.  Aielli  rende omaggio al grande scrittore con uno stupefacente murale  sul quale si può leggere  il suo romanzo più significativo.

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