E l’ultima pagina si chiude. Questa lettura veloce, estemporanea, imprevista, che mi arriva per posta e mi richiede attenzione, non può lasciare indifferente una donna che condivide l’esperienza narrata con tutti i protagonisti di questo diario sociologico collettivo su genitori che raccontano i propri figli espatriati, e si raccontano in relazione alle scelte fatte insieme e non.
Attraverso con loro, guidata per mano da Assunta Sarlo, autrice del libro, i tempi e le strategie di questo nuovo processo migratorio Italiano. Ma quando anche l’ultima pagina viene voltata e il libro viene chiuso, resto lì, ferma a pensare:
E ora, come la scrivo questa recensione? Calma, metti per un attimo da parte l’immagine delle tue due figlie emigrate e rifletti.
Ho letto 134 pagine di un diario collettivo, o meglio di una prolungata seduta di autocoscienza, in cui i genitori intervistati (un campione particolare, rappresentativo di una ristretta comunità amicale.) si pongono domande e si danno alcune risposte, mantenendosi spesso in superficie, per pudore, per rispetto dei figli e di se stessi, per altre mille ragioni che in parte credo di intuire. I figli? Sempre presenti come soggetto passivo, in relazione ai quesiti dei loro genitori. Un timido tentativo di affermare la loro presenza è nell’ invito a non parlare troppo delle loro nuove vite. Rimangono sullo sfondo, come sullo sfondo rimangono nella società Italiana.
Molti sono gli spunti di riflessione sul ruolo dei giovani e dei vecchi nell’Italia del 2018, sempre filtrati dallo sguardo sia professionale che personale della giornalista, coinvolta in prima persona nelle vicende narrate e nelle analisi portate avanti. Il tutto viene riscaldato da atmosfere intime, da caminetto nella casa di montagna o da grande tavolata nella villa al mare.
Nel diario di Assunta si intrecciano pagine intime e dense di emozione a sintesi forse troppo veloci delle interviste, a dati e numeri estrapolati da ricerche statistiche di università, enti e singoli ricercatori. L’effetto finale è di una galoppata che toglie il fiato.
In un paio di passaggi ritroviamo il blog mammedicervellinfuga: la citazione da Mi chiamo Lucy Barton di E. Strout (p.10) e la citazione del rapporto ”spinoso” di cui parla Brunella Rallo a proposito dei contatti a distanza nonni/nipoti.(p.111).
Il gioco dei sessi
Interessante è il discorso di “genere”, nel gioco dei sessi. Ovvero quando a partire è una figlia: Differenze tra maschio e femmina che lasciano il nido. Le figlie sperimentano le conquiste di una generazione di donne che, forse sopravvalutando il carico di lavoro che le attendeva, ha detto troppi si: si al lavoro, si alla famiglia, si alla cura degli anziani, si alla tradizione, per staccarsene poi solo in parte, in una transizione complicata. La partenza della figlia femmina è prova di un’emancipazione vera realizzatasi nel corso degli anni? Oggi, una figlia all’estero, in cerca della propria realizzazione comporta maggiori preoccupazioni rispetto all’analoga esperienza maschile? Ancora food for thought.
Il domani
“Spingiamo e tratteniamo”, dice Assunta Sarlo parlando del rapporto tra genitori e figli che vogliono lasciare il nido e vivere la loro vita in autonomia, e la lotta è senza tregua. Mi viene in mente il concetto di resistenza e resa di cui parla Vito Mancuso in Il bisogno di pensare, che sto leggendo. Resistere e cedere in una dinamica complessa ma sinergica, per raggiungere l’agognato equilibrio.
Impariamo molto dalle nuove situazioni che i nostri figli all’estero ci portano a vivere. Sono situazioni di cambiamento in cui incontriamo nuovi mondi, conosciamo nuove genti, torniamo a studiare geografia, lingue, usi e costumi diversi dai nostri. Arduo processo per chi ha superato i cinquanta o addirittura i sessanta. È comunque un modo per costruirsi un nuovo domani, una nuova progettualità lontano dai figli eppure insieme a loro, e nonostante le elucubrazioni del cosiddetto Ageismo, ovvero di quella moda sociale, di quel vento di critica che un improvvido scontro generazionale di Stato alimenta e che ci vede come la generazione che ha sperperato e goduto degli sperperi, togliendo futuro ai giovani. Discorso lungo e complicato.
Ciao amore ciao…Due parole sul titolo
Il titolo fa scattare un’epifania dolce-amara a noi figlie degli anni 60: la canzone Ciao amore Ciao, di Luigi Tenco (1967). E mi domando: ma perché questa scelta? Un rapporto d’amore tormentato con la propria vita e la propria terra, una storia d’amore tra un uomo e una donna che finisce, una tragedia che si realizza. Sembra tutt’altra cosa rispetto al tema del libro. Ma forse Assunta non ci ha pensato, o forse sì, e ha scelto questo titolo proprio per il senso, talora malinconico che associamo a parole come:
“e un bel giorno dire basta e andare via… andare via lontano, cercare un altro mondo…andarsene sognando.”
E la immagino in questo mood sulla panchina della stazione di St. Pancras a Londra, sulla via del ritorno a “casa”, dopo aver lasciato i suoi figli.
Ciao amore ciao vorrebbe essere un libro intergenerazionale, ma in sostanza, si rivela particolarmente orientato verso i genitori di figli che risiedono all’estero. Se volete dunque ripercorrere con Sarlo parte del vostro viaggio di mamme e padri di cervelli in fuga, avete un libro che forse vi farà da specchio. A voi decidere se l’immagine che vi tornerà indietro avrà reso questa lettura importante.
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