È Settembre anche a Oxford, nel secondo romanzo di Colin Dexter che decido di leggere. Dopo Il Terzo Miglio, che non mi ha particolarmente entusiasmato, arriva Le Figlie di Caino. Questa storia di delitti e sentimenti intrecciati in modo umano e verosimile non mi lascia indifferente.
Personaggi credibili e rintracciabili nella realtà Inglese, quella realtà che vive dietro il sipario patinato del mondo Middle Class dei libri di scuola. Tutto accade a Oxford che nell’immaginario di cui sopra è la cartolina perfetta per chi vuole credere ancora nella favola bella.
Il professore in pensione Felix McClure viene brutalmente ucciso nel suo appartamento. Omicidio efferato di un uomo rispettabile e di buoni sentimenti, specialmente verso la giovane donna di cui si è innamorato nonostante (o forse proprio per questo) la vita disordinata della stessa.
Il rispettabile professore era coinvolto in un giro di droga? O era invischiato in una torbida storia di sesso? Il suo mondo passato e presente, viene messo sotto la lente d’ingrandimento dell’ispettore Morse e del suo assistente Lewis: l’università, il Liceo cittadino, gli studenti, gli insegnanti, gli inservienti con relative famiglie.
Ma sono le donne il vero perno di questo mondo e la vera chiave del rebus. Figlie di Caino? Perché? Come? A voi scoprirlo. Un titolo geniale.
“Donne separate dalle altre loro simili dal marchio dell’assassino – il segno di Caino… Un confuso disegno fatto di «se» aveva mutato forma nella mente inquieta di Morse nel corso della notte, tracciando esattamente la stessa lista di sospetti di prima, poiché il Giudice Ultimo aveva consegnato a Morse le stesse tre buste.”
L’ispettore Morse ricostruisce indizi e moventi attraverso percorsi plausibili, cambi di direzione, epifanie brillanti. L’investigatore è uno sgradevole uomo, quasi in età di pensionamento, che fa del tutto per confermare questa immagine di sé agli occhi del mondo, ma che non riesce tuttavia a nascondere del tutto la profondità della sua anima.
Certo non è un Montalbano in accappatoio dopo la vigorosa nuotata a Marinella, ma un uomo inondato di alcol, fumo ed espettorazioni sgradevoli, in preda ad una imprevista crisi affettiva che lo porta a slanci repressi verso la più giovane delle protagoniste della storia.
“Ella si volse, ma con il tempo d’autunno
per molti giorni costrinse la mia immaginazione,
per molti giorni e per molte ore.
She turned away, but with the autumn weather
Compelled my imagination many days,
Many days and many hours:
T. S. ELIOT – O quam te memorem virgo
E tuttavia il caro Morse è anche uomo di vasta cultura classica, ironico e bravo, molto bravo nel suo mestiere. Tanto bravo che riesce sempre a far quadrare i conti, mettendo insieme tutti i pezzi del puzzle, compresi quelli individuati dai suoi collaboratori o gettati sul tavolo dal caso…Alla fine tutto torna, ma qualche granello di polvere rimane tra gli ingranaggi.
«Come dicevo, se facciamo quadrare il primo caso, e poi anche il secondo… non ci resta altro da fare che calcolare la somma dei due quadrati». Lewis sembrava perplesso. «Non riesco tanto a seguirla, signore». «Ha mai sentito parlare di terne pitagoriche?». «A scuola abbiamo fatto il teorema di Pitagora». «Precisamente. La terna più famosa di tutte è 3, 4, 5, sicché 32+42=52. Ci siamo?». «Ci siamo». «Ma ci sono altri esempi di terne molto più spettacolari. Gli egizi, per esempio, conoscevano benissimo quella 5961, 6480, 8161».
La precisazione di Antonio Margaroli sulle terne pitagoriche e le fonti di Morse
Ho letto con piacere la recensione del romanzo “Le figlie di Caino” di Colin Dexter e così colgo l’occasione per un commento su una curiosità, già peraltro accennata nella recensione stessa.
Riguardo alle terne pitagoriche l’ispettore Morse dice:
“[..] La terna più famosa di tutte è 3, 4, 5, sicché 32 + 4 2 = 5 2 . . Ci siamo?”
Poi aggiunge:
“[..] Gli Egizi per esempio conoscevano benissimo quella [la terna] 5961, 6480, 8161”.
In realtà se proviamo a fare due conti, per la prima terna si ha ovviamente:
32 + 4 2 = 9 + 16 = 25
5 2 = 25
Per la seconda invece sorprendentemente si ha:
59612 + 6480 2 = 35.533.521 + 41.990.400 = 77.523.921
81612 = 66.601.921
Non si tratta quindi di una terna pitagorica in quanto la somma dei quadrati dei primi due numeri non coincide con il quadrato del terzo numero.
La terna pitagorica corretta sarebbe 4961, 6480, 8161 con il seguente risultato:
49612 + 6480 2 = 24.611.521 + 41.990.400 = 66.601.921
81612 = 66.601.921
Quindi un semplice errore con un 5 invece di un 4: 5961 invece di 4961.
Ma quale può essere l’origine dell’errore? Un banalissimo errore d stampa?
Il romanzo originale di Colin Dexter “Daughters of Cain” è stato pubblicato nel 1994 e già nel testo originale inglese era presente quell’errore. Quindi non si tratta di un errore di stampa introdotto nella versione italiana del romanzo. In realtà questa stranezza era già stata rilevata vent’anni fa in una pubblicazione di una associazione di appassionati di matematica, la Canadian Mathematical Society (CMS) (https://cms.math.ca/ ).
In una loro pubblicazione denominata Crux Mathematicorum, (Vol. 23 – Num. 3 – 3/1997) è proposta una serie di problemi matematici (https://cms.math.ca/crux/v23/n3/page131-142.pdf).
L’ultimo problema fa proprio riferimento all’errore nella terna pitagorica citata dall’ispettore Morse.
E qui le cose si complicano perché nel problema si parla di due errori presenti nel testo. In effetti sappiamo che nell’antichità questa terna era conosciuta perché è riportata su un’antica tavoletta babilonese giunta fino a noi e quindi sarebbero i Babilonesi e non gli Egizi gli antichi conoscitori di questa terna pitagorica.
A questo punto non si tratta di un banalissimo errore di stampa. A mio parere, l’autore, Colin Dexter, ha voluto giocare con i lettori facendo commettere all’ispettore Morse quegli errori.
Al sergente Lewis che commenta la citazione matematica di Morse dicendo “[..] Non sapevo che si interessasse a cose del genere”. Morse risponde: “Non ne so niente. Sta scritto sul retro della scatola di fiammiferi”. E così l’errore si potrebbe interpretare come un errore di Morse nel riportare quanto aveva letto magari distrattamente, o un errore sulla scatola dei fiammiferi, che non è certo una fonte rigorosa e affidabile per questo tipo di informazioni.
Sta di fatto che, anche in quest’ultimo caso, è Morse ad essere superficiale e a non “verificare le fonti”. Ma Morse se lo può permettere: anche se è un ispettore che indaga su un caso di omicidio (e peraltro la citazione matematica nulla ha a che fare con la soluzione del caso), non sono tanto il rigore e la meticolosità che gli fanno risolvere anche i casi più complicati ma intuito, genialità e un’estrema libertà di pensiero.
Ciò detto… niente da aggiungere. Mi piaceva solo sottolineare questa curiosità.
Antonio Margaroli
Delizioso vero?
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