L’Aquila-Agosto 2011. Due anni dopo
A due anni e quattro mesi dal terremoto, sento impellente il bisogno di tornare a L’Aquila. Ho atteso tanto, troppo, questo momento. Ora è arrivato.
Usciamo a L’Aquila Ovest e subito cerchiamo con gli occhi i segnali noti. Siamo confusi dal traffico, tante macchine, gli stessi vecchi cartelli stradali, un fervore che non ci aspettavamo. Invece la città si muove, proprio in questa area. A sinistra, il vecchio Motel Agip, oggi Amiternum. Davanti all’ingresso una folla di turisti in attesa. Un pò più a sinistra, la gloriosa Caserma Pasquali ha retto bene. Procediamo su, su verso via xx Settembre e qui il cuore si stringe, sembra di passare attraverso un tunnel di impalcature e di dolore e io non riconosco i luoghi in cui ho vissuto! Mi manca l’ aria.
Poi verso la “Villa”, il cuore si rasserena un pò. Tanta gente, il chiosco, i giardni dove passeggiavo e studiavo, il viale di Collemaggio. La facciata della Basilica è restaurata e rassicurante. Il prato verde curato anche se circondato dalla rete rossa di sbarramento. All’inizio della villa non ho voluto guardare a sinistra. Ci andrò dopo. Cerchiamo l’albergo. Ce ne sono in centro, funzionano. Devono funzionare. Sono come centri di assistenza, importantissimi. Andiamo al San Michele e qui già siamo dentro il vuoto.
Nella piccola hall ci accoglie un gruppetto di “sfollati” dal volto triste, assente. Una signora, truccata e vestita per la festa, cammina stralunata, è quasi felliniana. La televisione è sempre accesa. Leggono, gli uomini il quotidiano, le donne le riviste di attualità o parlano tra loro ricordando e facendosi coraggio l’un l’altra:
“Si, Si sta bene qui, ci trattano bene, e che voi di più?”
un mantra che ripetono continuamente quasi a convincersi che meglio di così…La receptionist dice:
“Sono stati trasferiti da un altro albergo perché sembra che entro breve li rimanderanno a casa.”
Il suo sguardo è molto dubbioso. Dalla finestra della stanza vedo, di fronte, i tetti senza tegole, i palazzi “scaffolded” e sullo sfondo le montagne. Inizia la passeggiata del dolore. Fa freddo e il senso di brivido aumenta man mano che ci inoltriamo verso il centro storico. Il corso, il cinema Massimo a sinistra. Quanti film ho visto lì! Poi su, su, lungo la strada deserta: tutto silenzioso e vuoto, pietre, reti che proteggono poco o nulla.
Si procede, Piazza Duomo appare enorme, vuota e triste e all’imbrunire risuona della musica proveniente da un piccolo locale riaperto dai giovani, nella speranza di riportare vita e lavoro nella piazza, cuore storico, e nella città tutta. La musica si spande lugubre tra i monumenti ai caduti, l’Aquila ferita sul piedistallo, il Duomo chiuso e la chiesa delle Anime Sante.
Su ancora, verso i portici. Tutto ancora e sempre chiuso. Impacchettati, imbalsamati con impalcature di un’eleganza funerea, in nero e ottone. Ci sono sacchi pieni di raccordi lasciati lì dopo i primi lavori, soldi buttati. Erbacce crescono nella terra e nella polvere, ammonticchiate nel tempo. Un groppo alla gola e al cuore.
Ora giù, verso Piazza Sallustio, l’Università, La mia Libreria Colacchi…Tutto sbarrato. Una camionetta con militari, a dire il vero solo due, a sbarrare la strada di accesso alla zona di San Pietro, uno dei quartieri più disastrati. Lì avrei voluto rivedere la mia prima casa, con la mia familgliola, in Via e Arco dei Pittori… Impossibile, tutto sotto le macerie, protette o precluse…
Torniamo indietro. Poca gente, per lo più turisti allucinati che passeggiano per il corso. Silenzio…Nessuno osa parlare. I bambini giocano con le chiavi di casa appese alla rete della pietà e della speranza. La mamma, inorridita, li riprende. Loro giocano, non capiscono.
Mi viene da pensare ai giovani. Alle scuole, ora tutte in moduli prefabbricati.. L’asilo è in un container tutto colorato di disegni… Qui il Silenzio è la cifra. Non si sentono rumori di lavori. Tutto è fermo, quasi in attesa. Di cosa? Hanno messo su tanti centri commerciali, in quell’anello frenetico di vita che circonda il centro città. La storica libreria Colacchi ha riaperto all’Amiternum. E’ bella, grande, piena di libri ben disposti sugli scaffali nuovi di zecca e l’atmosfera è sempre vitale. Roberto ci accoglie, ci riconosce e ci abbraccia.
“Ecco siamo qui… Si lavora tanto, fortunatamente, ma…”
(La sede storica nel vecchio palazzo nobiliare vicino all’Università sarà di nuovo agibile, forse, tra non meno di dieci anni, se cominciano i lavori…)
La sera ceniamo alla Grotta di Aligi, ristorante affacciato sulla Villa, accanto al Grand Hotel. Intimo e quasi surreale. L’aria è fresca e pulita, ma il silenzio è ancora enorme. Pochi avventori con i quali incrociamo gli sguardi senza avere il coraggio di parlare. Solo i saluti sono squillanti, sorridenti e sembrano voler dire mille cose…
Il giorno dopo, lasciamo l’albergo.
Shhh! sento dei rumori che rimbombano nel quartiere deserto. Mi volto e guardo su per la strada adiacente l’albergo. Due operai stanno sistemando il muro esterno di una casa, in condizioni apparentemente buone… Mi viene l’allegria. Si, stanno lottando per riappropriarsi del loro mondo. Qualcuno a breve rientrerà a casa sua. La receptionist mi dice che ormai 16.000 aquilani hanno lasciato definitivamente la città…Alcune grandi società immobiliari stanno facendo incetta degli immobili distrutti.
“Li restaureranno e riporteranno lavoro e vita nella citta. Si spera”,
aggiunge senza troppa convinzione, accettando anche l’idea di una speculazione edilizia selvaggia, purchè si torni a vivere!
La giornata è limpida, il sole illumina tutto e la corona di montagne rende l’aria protetta e accogliente. Un salto nella zona Est. Qui tutto sembra più accettabile…
Poi verso Avezzano. Tanta tristezza e tanta speranza. Cosa si aspetta a ricostruire il centro? A ridare vita e cuore alla città? Tutto sembra bloccato. Talora si ha l’impressione che gli Aquilani siano quasi timorosi di chiedere, come se avessero già avuto tanto, troppo:
“cosa vogliono ancora questi aquilani?”
temono che la gente dica di loro. Ma invece no, non devono fermarsi! E non lo fanno. Vanno avanti tra dolore, silenzio, richiami al potere, voglia di vivere e spirito di sopravvivenza. Hanno avuto il “Miracolo”. Ora vorrebbero indietro la loro vita, nella loro città.
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Da 27esima ora, voci e sguardi sull’Aquila: le (r)esistenti
Un pensiero riguardo “Viaggio a L’Aquila, tra le voci del terremoto: l’urlo del silenzio mi stordisce…”
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