garzanticalvinoLA 

Perché non partire dalla fine?

Dalla reazione provocata nella lettrice da questo “dono”? Il dono di un amico attento al dolore di un tempo  disperato in cui tutte le certezze di una vita vengono messe in discussione. Un dono che rende più “leggero” il cammino.

“…moltiplicazione dei possibili come allontanamento da quell’unicum che è il self di chi scrive, la sua sincerità interiore, la scoperta della propria verità. Al contrario, rispondo, chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture d’immaginazioni? Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili…”

 Questa è la lezione che ho colto, questo è il messaggio che oggi, eterno presente, faccio mio. E’ la verità alla quale, in questo momento, passo accanto, forse senza accorgermene, nella speranza di catturarne l’essenza. Dunque lo faccio mio cercando e ordinando a modo mio la molteplicità delle dimensioni spazio-temporali.

C’è un filo conduttore tra una lezione e l’altra che, psicologicamente, mi intriga e, tecnicamente, mi stimola. E’ un viaggio attraverso le dimensioni dell’anima, del suo rapporto con l’esterno, ma è, allo stesso tempo,  una finestra spalancata sull’arte del raccontar storie. Ed è in questa rete magica della letteratura d’ogni tempo che mi sono lasciata intrappolare, intrattenendomi con Swift e i suoi viaggi su Laputa (Gulliver’s Travels) o con il mare in Tempesta del Brave New World Shakespeariano. E via con Joyce, Eliot e Dante e Platone e Ovidio e Lucrezio e Proust. E con quest’ultimo (Prisonnère ed. Plèiade, III, p. 100), insieme a Italo

“comprendevo l’impossibilità contro la quale urta l’amore. Noi ci figuriamo che esso abbia come oggetto un essere che può star coricato davanti a noi, chiuso in un corpo. Ahime! L’amore è l’estensione di tale essere a tutti i punti dello spazio e del tempo che ha occupati e che occuperà. Se non possediamo il suo contatto con il tale luogo, con la tale ora, noi non lo possediamo. Ma tutti quei punti non possiamo toccarli. Forse se ci venissero indicati potremmo arrivare sino ad essi, ma noi procediamo a tentoni senza trovarli. Perdiamo un tempo prezioso su di una pista assurda, e passiamo senza accorgercene accanto alla verità …”

E laceriamo il nostro self e con Gadda imprechiamo

“…l’io, io! Il più lurido di tutti i pronomi…I pronomi! Sono i pidocchi del pensiero…” (da La Cognizione del Dolore )

Molteplicità e strapotere dell’io pidocchioso! Perché non tornare invece all’immaginazione?

“al potere di mettere a fuoco visioni ad occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di PENSARE per immaginare…”

Ho navigato nel mare delle mie conoscenze, della mia enciclopedia incontrando gli “Esatti” Marco Polo e Kubla Khan e Chomsky e Piaget e i cristalli di Pessoa e Poe e Baudelaire, Euclide e la lezione di Barthes, Der Mann ohne Eigenschaften di Musil e l’Infinito di Leopardi e la sua ricerca dell’indeterminato nello Zibaldone.(20 Settembre 1821):

“E piacevolissima ancora… la vista di una moltitudine innumerabile, come delle stelle, o di persone ec. Un moto molteplice, incerto, confuso, irregolare, disorientato, un ondeggiamento vago che l’animo non possa determinare né concepire definitivamente e distintamente… similmente una moltitudine di suoni irregolarmente mescolati e non distinguibili l’uno dall’altro ec.ec.ec”

Con Rapidità Calvino spiega egli stesso, molto meglio di quanto possa fare qualunque suo esegeta, la rete di connessioni che ha creato tra i temi delle sue lezioni e ricorre a

“Hermes-Mercurio, Dio della comunicazione e delle mediazioni, sotto il nome di Toth, l’inventore della scrittura… con le ali ai piedi, leggero e aereo, abile e agile e adattabile e disinvolto, stabilisce le relazioni degli dei tra loro e tra gli dei e gli uomini, tra le leggi universali e i casi individuali, tra le forze della natura e le forme della cultura, tra tutti gli oggetti del mondo e tra tutti i soggetti pensanti…”

Rapidità. E penso con lui a Whitman o William Carlos Williams, la fuga perpetua dello Shandy di Sterne, fuga dalla morte. Shandy, per dirla con Carlo Levi, “ non vuol nascere perché non vuole morire…” E rapidamente concludo prima di passare, con Leggerezza ad altro, con De Quincey e il suo “Postale Inglese”:

“…Glance of eye, thought of man, wing of angel, which of these had speed enough to sweep between the question and the answer, and divide the one from the other? Light does not tread upon the steps of light more indivisibly than did our all-conquering arrival upon the escaping efforts of the gig…”

E’ leggero il  cavallo  e veloce, come un lampo.

Cosa è la leggerezza se non petali e sepali come nella rosa di Emily? O la carrozza sottile della regina Mab, levatrice delle fate?

 “ lunghe zampe di ragno sono i raggi delle sue ruote;

d’elitre di cavalletta è il mantice;

di ragnatela della più sottile i finimenti;

roridi raggi di luna i pettorali;

manico della frusta un osso di grillo;

sferza un filo senza fine.”

 E’ leggerezza

“la mia peculiare malinconia composta da elementi diversi, quintessenza di varie sostanze, e più precisamente di tante differenti esperienze di viaggi durante i quali quel perpetuo ruminare mi ha sprofondato in una capricciosissima tristezza (in a most humorous sadness-As you like it)…”

Sono uscita anch’io come il Cavaliere del Secchio di Kafka, alla ricerca di un po’ di carbone, in una fredda notte dell’anima per oltrepassare montagne e montagne, dove troverò, infine, quello di cui ho bisogno, libera finalmente dal peso di vivere. Leggera, alla ricerca di un approdo, magari sulla “graziosa luna” di Leopardi:

Alla Luna

O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, né cangia stile,
0 mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri! 

 

 Sguardi dall’oggi: “le sei cardinali virtu’ letterarie”

Le Lezioni Americane sono le conferenze che Calvino avrebbe dovuto tenere all’Università di Harvard, nel contesto delle prestigiose Norton Poetry Lectures.  Calvino non riuscì a tenere le conferenze, la cui stesura era per lui diventata un’ossessione. Morì prima e le lezioni uscirono postume, nel maggio del 1988.

La scelta del tema era libera e Calvino, primo scrittore italiano ad essere invitato alle Norton Lectures, decise di circoscrivere il proprio: alcuni valori letterari da conservare nel prossimo millennio. Eccoli:

Leggerezza. “Dopo quarant’anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti di diversi, è venuta l’ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso”

Rapidità. “Mi limiterò a dirvi che sogno immense cosmologie, saghe ed epopee racchiuse nella dimensione di un’epigramma”

“Tra le molte virtù di Chuang-Tzu c’era l’abilità nel disegno. Il re gli chiese il disegno d’un granchio. Chuang-Tzu disse che aveva bisogno di cinque anni di tempo e d’una villa con dodici servitori. Dopo cinque anni il disegno non era ancora cominciato. ‘Ho bisogno di altri cinque anni’ disse Chuang-Tzu. Il re glieli accordò. Allo scadere dei dieci anni, Chuang-Tzu prese il pennello e in un istante, con un solo gesto, disegnò un granchio, il più perfetto granchio che si fosse mai visto”

Esattezza. Come Hofmannsthal ha detto: ‘La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie’. E Wittgenstein andava ancora più in là di Hofmannsthal, quando diceva: ‘Ciò che è nascosto, non ci interessa’”

Visibilità. “C’è un verso di Dante nel Purgatorio (XVII, 25) che dice: ‘Poi piovve dentro a l’alta fantasia’. La mia conferenza di stasera partirà da questa constatazione: la fantasia è un posto dove ci piove dentro”

Molteplicità. “Ogni vita è un’enciclopedia, una biblioteca, un inventario d’oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili”.

E la Consistenza? Manca… “La sesta lezione, dedicata alla «consistenza», non sarebbe mai stata scritta. E forse non per caso. La consistenza, forse, non poteva essere prospettata al nuovo millennio…”

Questa citazione ci porta all’oggi, all’articolo di Antonio Scurati, Calvino aveva previsto tutto e sbagliato tutto? (La Stampa, 23 Agosto 2009) che attualizza il messaggio di Calvino nelle Lezioni riscontrandolo con i tempi che viviamo. Ne abbiamo estrapolato un breve passo:

“…Calvino aveva ben presente che, dedicando le sue conferenze a leggerezza, rapidita’, esattezza, visibilita’, molteplicita’, consistenza, stava parlando di letteratura e non facendo sociologia o, peggio, futurologia. Rifletteva, cioe’, su alcuni valori o qualita’ specificamente letterarie che gli stavano particolarmente a cuore, e che avrebbe voluto fossero ereditate dalla imminente posterita’. Ma un’eredita’, lo si sa, e’ piu’ frutto del lavoro degli eredi che non degli avi. E cosi’, oggi, pare proprio che, nei vent’anni successivi alla sua morte, le sei cardinali virtu’ letterarie tramandate da Calvino, una volta ereditate dalla cultura diffusa del nuovo millennio, abbiano finito col divenire vizi sociali. Si pensi a quanta banalita’ si e’ contrabbandata sotto la bandiera della rapidita’, a quanta aridita’ sotto quella dell’esattezza, a quanta cecita’ sotto quella della visibilita’, a quanta inconsistenza sotto quella della complessita’…”