
I will call them my people, which
were not my people; and her
beloved, which was not beloved.
Romans 9:25
Ambientato nel 1873 a Cincinnati, il romanzo racconta le vicissitudini di Sethe, un’ex schiava che vive con la figlia Denver in una casa molto particolare. Un giorno arriva Paul D, un uomo che Sethe conosceva dalla piantagione di Sweet Home, la casa dove era tenuta in schiavitù. Dopo di lui compare una misteriosa giovane donna di nome Beloved, unica parola incisa sulla sua tomba, che sembra essere la reincarnazione della figlia morta. Beloved riapre ferite profonde e costringe Sethe a confrontarsi con i suoi demoni fino ad allora silenziosi.
Temi, stile e linguaggio
Il rapporto tra maternità e amore materno è uno dei temi principali della storia. Quello che riguarda Sethe in particolare presenta sfaccettature inaspettate di un amore assoluto:
“I don’t care what she is. Grown don’t mean nothing to a mother. A child is a child. They get bigger, older, but grown? What’s that supposed to mean? In my heart it don’t mean a thing.”
“It means she has to take it if she acts up. You can’t protect her every minute. What’s going to happen when you die?”
“Nothing! I’ll protect her while I’m live and I’ll protect her when I ain’t.”
Il trauma della schiavitù, il tema della memoria e dell’ identità non sono meno decisivi. Non ci si libera del passato. E il passato è Beloved con tutto il carico di dolore che impersona. Ma come si guarisce dai danni provocati da azioni messe in atto nel passato? Che tipo di redenzione perseguire? Andare verso gli altri, aprirsi alla comunità e alla condivisione è la strada giusta da seguire.
Temi cruciali, dicevamo, di peso. E tuttavia lo stile di Morrison e il linguaggio dei protagonisti rappresentano il vero nucleo del romanzo, potente e distintivo. È uno stile che comunica le ferite profonde, la memoria, l’identità. Ciò che esiste e ciò a cui si aspira. Con frequenti salti temporali e flashback, attraverso una prosa lirica e frammentata, ma anche creativa e inaspettata come la creazione di neologismi tipo Rememory o Disremember, lo stile di Morrison sfida il lettore a ricomporre un puzzle complicatissimo. Come complicatissima è la ricomposizione dell’ identità dei personaggi sottoposta a urti violenti e ripetuti.
“I was talking about time. It’s so hard for me to believe in it. Some things go. Pass on. Some things just stay. I used to think it was my rememory. You know. Some things you forget. Other things you never do. But it’s not. Places, places are still there. If a house burns down, it’s gone, but the place—the picture of it—stays, and not just in my rememory, but out there, in the world.”
Siamo di fronte a una forma preziosa di flusso di coscienza, una sorta di “linguaggio del trauma”, che diventa immaginifico attraverso simboli e metafore ricorrenti, come il ghiaccio, l’acqua, il respiro, il vento, che danno corpo allo stato emotivo dei personaggi, tra paralisi e liberazione. Ma non è solo questo, il linguaggio incorpora elementi della tradizione orale afroamericana, con dialoghi a più voci e ritmi che ricordano i sermoni dei pastori, il canto degli schiavi, le canzoncine mormorate di Sethe.
Lo stile di Morrison ha una valenza politica straordinaria. Dà voce a chi dalla Storia è stato imbavagliato. I bianchi usano un linguaggio, i neri un altro e la differenza è straordinariamente evidente nel romanzo. Questo uso “differenziato” e sottolineato con maestria è strumento di difesa e di identità. È strumento di resistenza.
Come i Bianchi vedono i Neri
“I bianchi credevano che, qualunque fossero le maniere, sotto ogni pelle scura ci fosse una giungla. Acque impetuose e innavigabili, babbuini urlanti che ondeggiavano, serpenti addormentati, gengive rosse pronte per il loro dolce sangue bianco. In un certo senso, pensò, avevano ragione. Più la gente di colore spendeva le proprie energie cercando di convincerli di quanto fossero gentili, intelligenti e amorevoli, umani, più si sforzavano di persuadere i bianchi di qualcosa che i neri credevano indiscutibile, più la giungla si faceva profonda e intricata al loro interno. Ma non era la giungla che i neri portavano con sé in questo luogo dall’altro luogo (vivibile). Era la giungla che i bianchi avevano piantato in loro. E crebbe. Si diffuse. All’interno, attraverso e dopo la vita, si diffuse, finché invase i bianchi che l’avevano creata. Li toccò tutti quanti. Li cambiò e li alterò. Li rese sanguinari, sciocchi, peggiori di quanto persino loro stessi volessero essere, tanta era la paura che avevano della giungla che avevano creato. Il babbuino urlante viveva sotto la loro stessa pelle bianca; e gengive rosse erano le loro.”
Le case
In Beloved le case non sono semplici ambientazioni, sono spazi simbolici che riflettono il trauma, la memoria e l’ identità dei personaggi. Fungono da confini tra il mondo dei vivi e quello dei morti, tra realtà e soprannaturale. E ci riportano in qualche modo alle atmosfere della Casa degli Spiriti di Isabel Allende o ai romanzi di Gabriel Garca Marquez.
124 Bluestone Road è la casa principale; Il capanno degli attrezzi è lo spazio dove l’amore materno si trasforma in atto tragico; la casa di Baby Suggs, é luogo di accoglienza per la comunità nera. Baby Suggs con voce autorevole e carisma divulga i suoi comandamenti “Ridi, danza, piangi”. Il suo è un appello rivoluzionario: avere cura della carne, degli occhi della bocca, del fegato, del cuore. In sintesi amare il proprio corpo. Ma la casa di Baby Suggs, luogo di accoglienza e guarigione fallisce nel suo compito di sostegno a chi è ferito e diventa uno spazio di ritiro e dolore dopo l’evento tragico; il capanno dove dorme Paul D è testimone dell’attacco di Beloved che lo fa ripiombare nel baratro di ricordi dolorosi mai elaborati. È in fondo uno spazio in cui assistiamo all’emergere delle fragilità maschili.
“And him. Eighteen seventy-four and whitefolks were still on the loose. Whole towns wiped clean of Negroes; eighty-seven lynchings in one year alone in Kentucky; four colored schools burned to the ground; grown men whipped like children; children whipped like adults; black women”
Torniamo a 124 Bluestone Road, la casa principale dove vivono Sethe e Denver. Infestata dal fantasma di Beloved, rappresenta il peso del passato e il dolore non elaborato. Simboleggia l’isolamento, la comunità nera infatti la evita. Diventa un luogo di conflitto psichico e fisico quando Beloved ritorna in forma umana. Ma alla fine, da luogo di oppressione, chiusura e dolore, diventa luogo di guarigione collettiva e di liberazione, anche di Sethe, grazie all’intervento della comunità, alla quale, con coraggio e determinazione, Denver chiede aiuto, iniziando così il percorso di salvezza.
Amy e Denver
Amy Denver è la ragazza bianca che aiuta Sethe a far nascere la sua bambina che chiamerà Denver, come la sua salvatrice. Amy vede ferite che Sethe ha scolpite sul corpo. Le frustate dei bianchi hanno creato un albero con tanti rami e piccoli frutti succulenti. Sethe non vuole parlarne.
“You never told me all what happened. Just that they whipped you and you run off, pregnant. With me.” “Nothing to tell except schoolteacher. He was a little man. Short. Always wore a collar, even in the fields. A schoolteacher, she said.”
Denver comincia a “vedere” sua madre con altri occhi:
“Denver began to see what she was saying and not just to hear it: there is this nineteen-year-old slavegirl—a year older than herself—walking through the dark woods to get to her children who are far away. She is tired, scared maybe, and maybe even lost. Most of all she is by herself and inside her is another baby she has to think about too. Behind her dogs, perhaps; guns probably; and certainly mossy teeth. She is not so afraid at night because she is the color of it, but in the day every sound is a shot or a tracker’s quiet step.”
Atmosfera
Mi colpisce in questa storia l’atmosfera “ancestrale”, spesso cupa e violenta, solo a tratti alleggerita da sprazzi di sereno tra piccoli cirri chiaroscuri che, pian piano, migrano altrove, sospinti dal vento. In questo humus complesso domina il bisogno di amore, di identità e di radici.
Beloved di Toni Morrison è un libro da leggere, vivere, capire e soffrire.
Sguardi sul romanzo
“Toni Morrison was a giant of her times and ours… Beloved is a heartbreaking testimony to the ongoing ravages of slavery, and should be read by all” Margaret Atwood.
