Una donna di Sibilla Aleramo è il racconto di vicende familiari che potrebbero essere quelle di molte altre donne, anche contemporanee. Non a caso l’autrice non fa nomi, I protagonisti sono una donna, suo marito, suo padre, sua madre, il figlio, le sorelle. E la gente intorno, più o meno vicina, come i colleghi, il dottore, la suocera, la cognata, il profeta, l’amica e così via… Eppure dalle prime righe così intense e vissute, capiamo che siamo dentro un’autobiografia, dentro la storia di Rina Faccio, alias Sibilla Aleramo (Alessandria 1876 – Roma 1960). Alla fine del romanzo la stessa narratrice ci spiegherà le ragioni di questo libro.
“La mia fanciullezza fu libera e gagliarda. Risuscitarla nel ricordo, farla riscintillare dinanzi alla mia coscienza, è un vano sforzo. Rivedo la bambina ch’io ero a sei, a dieci anni, ma come se l’avessi sognata. Un sogno bello, che il menomo richiamo alla realtà presente può far dileguare.”
Il pater familias è un professore che stanco del suo lavoro si proietta verso nuove imprese. E una di queste lo porta a trasferirsi verso Sud dove è stato chiamato a dirigere una fabbrica. La moglie, infelice e succube gli va dietro passivamente, trascinando anche i figli verso l’ignoto. La maggiore è molto promettente e brillante, ma deve lasciare la scuola. Il padre, molto amato e rispettato dalla ragazza, la porta a lavorare in fabbrica come sua segretaria. Una quasi bambina al lavoro! Qui conosce un impiegato più grande di lei che decide di “prendersela”. E la violenta, provocando un inevitabile matrimonio riparatore.
È l’inizio della fine, o meglio è l’inizio di un lungo percorso di umiliazioni, violenze, malintesi, dubbi e ricerca di una via d’uscita, che la ragazza vivrà dolorosamente sulla sua pelle. Alla fine la via d’uscita viene trovata e la porterà a prendere la decisione più dolorosa che una donna nelle sue condizioni possa prendere: lasciare l’amatissimo figlio a suo padre che ne rivendica la patria potestà. Di fatto l’uomo mette in atto un vero e proprio ricatto: o rimani con me o perdi tuo figlio (siamo ancora con Anna Karenina?) E siccome le leggi del tempo garantiscono al coniuge maschio diritti totali su figli, beni e corpo della moglie, il gioco è fatto.
La mistica della maternità
“Perché nella maternità adoriamo il sacrifizio? Donde è scesa a noi questa inumana idea dell’immolazione materna? Di madre in figlia, da secoli, si tramanda il servaggio. È una mostruosa catena. Tutte abbiamo, a un certo punto della vita, la coscienza di quel che fece pel nostro bene chi ci generò; e con la coscienza il rimorso di non aver compensato adeguatamente l’olocausto della persona diletta. Allora riversiamo sui nostri figli quanto non demmo alle madri, rinnegando noi stesse e offrendo un nuovo esempio di mortificazione, di annientamento. Se una buona volta la fatale catena si spezzasse, e una madre non sopprimesse in sé la donna, e un figlio apprendesse dalla vita di lei un esempio di dignità? Allora si incomincerebbe a comprendere che il dovere dei genitori s’inizia ben prima della nascita dei figli, e che la loro responsabilità va sentita innanzi, appunto allora che più la vita egoistica urge imperiosa, seduttrice.
Tensione narrativa
Il filo narrativo è ben teso e la lettrice se ne rende subito conto dal momento che non riesce a smettere di leggere e di seguire la donna nel suo percorso, se non all’ultima pagina quando inevitabilmente appare la parola FINE. La lingua italiana di Sibilla è sorprendente, arcaica quasi, ma estremamente funzionale al crescendo psicologico in cui i pensieri si susseguono, si accavallano, si disperdono, spesso non si traducono in azione ma in continue domande e dubbi: Che decisione prendere? Lasciare il marito? Abbandonare a lui violento e pericoloso il bimbo dolce di sei anni? Cosa fare? Riprodurre il modello materno che si è risolto con un ricovero in manicomio? Darsi la morte?
E l’amore, cosa è l’amore? Si ama solo se si va incontro ai bisogni del marito, e solo allora si può pretendere amore? Giustificare comportamenti ingiustificabili, cercare qualche spiraglio di affetto tra le tante, troppe manifestazioni di odio è possibile? Si può sperare di essere amati quando invece si è continuamente umiliati, sottomessi e violentati per mantenere una parvenza di superiorità sulla moglie? Bisogna sopportare lo scherno di fronte ai piccoli traguardi di carriera che lei si conquista con la sua intelligenza e il suo lavoro? La pace, desiderare solo la pace…Ma il cuore si ribella, e con lui il corpo e la mente.
Aleramo, forse prima tra le grandi scrittrici del 900, sposta il discorso oltre la singola donna e cerca di farsi paladina di una rivendicazione di genere, di un’accusa precisa del patriarcato. Lo fa da un punto di vista forse “spirituale” elitario, intellettuale, che accompagna comunque anche con azioni precise. Nel romanzo come nella vita quell’azione di fronte alla quale si era sempre ritratta, dubbiosa e spaventata, alla fine viene realizzata, con indicibile sofferenza, ma sempre rivendicata con dignità e sguardo rivolto al futuro.
“Femminismo! — esclamava ella. — Organizzazione d’operaie, legislazione del lavoro, emancipazione legale, divorzio, voto amministrativo e politico… Tutto questo, sì, è un compito immenso, eppure non è che la superficie: bisogna riformare la coscienza dell’uomo, creare quella della donna! ,,
Donne di ieri e di oggi
Le emozioni che la storia mi ha provocato mi spingono a pormi delle domande: Oggi le giovani donne sanno da dove vengono? Cosa abbia significato per quelle che ci hanno preceduto vivere senza diritti? Vivere come proprietà del marito, del padre, del fratello e poter disporre di un’eredità solo se l’uomo di casa dava il permesso perché ciò avvenisse? Sibilla ha vissuto sulla sua pelle queste ingiustizie.
Erano gli inizi del XX secolo. Altri tempi quelli del romanzo? Ma è davvero così? in Sibilla-Rina-Narratrice mi sembra di riconoscere il dramma di tante donne contemporanee abusate, annichilite, umiliate da uomini che non conoscono altro metodo per stare con una compagna che la violenza fisica e psicologica e la sopraffazione.
Oggi è veramente cambiata la vita delle donne? Si, certamente, almeno per ciò che riguarda alcuni diritti, la legge sul diritto di famiglia Italiana (8 Marzo-N.39-1975) è una delle più avanzate, ma la società nel suo insieme deve ancora fare passi avanti notevoli, in fretta. Lo spazio che intercorre tra la vita di Sibilla e la vita delle donne di oggi a volte sembra enorme, a volte sembra nullo. Basti pensare alla notizia che in questi giorni soffoca la nostra anima: Saman Abbas, giovane donna di origine pakistana è stata uccisa dai familiari perché non voleva sottostare ad un matrimonio combinato, che rifiuta con forza reclamando i suoi diritti di persona adulta e consapevole.
Le ragioni della scrittura
Un libro può salvare la vita e portare a decisioni “sane” e allora, Sibilla-Rina-Narratrice decide di scrivere perché un giorno suo figlio possa sapere dalla viva voce del libro cosa veramente ha provato, sofferto e sopportato l’amorevole mamma tanto da spingerla ad abbandonarlo tra le grinfie di un padre anaffettivo, ottuso e violento.
“Scrivo questo libro per mio figlio. Un giorno capirà- “Un giorno avrà vent’anni. Partirà, allora, alla ventura, a cercare sua madre? O avrà già un’altra immagine femminile in cuore? Non sentirà allora che le mie braccia si tenderanno a lui nella lontananza, e che lo chiamerò, lo chiamerò per nome? O io forse non sarò più… Non potrò più raccontargli la mia vita, la storia della mia anima… e dirgli che l’ho atteso per tanto tempo! Ed è per questo che scrissi. Le mie parole lo raggiungeranno.”
Mi piacerebbe conoscere la reazione del figlio di Sibilla. A lei un libro ha ri-spalancato le finestre della vita, avrà avuto lo stesso effetto su suo figlio, il libro della madre? È la stessa Aleramo che ci risponde:
“… Mio figlio mi pensa, stamane. Gli ho scritto qualche rigo, giorni fa. Tristezza irreparabile del nostro rapporto, dappoi che ci siamo rivisti dopo i trent’anni d’intervallo e invano abbiamo provato a sentire come una realtà il fatto ch’io sono sua madre e che lui è mio figlio.
(Un solo momento abbiamo avuto: la prima sera del ritrovamento; un singhiozzo profondo nel petto d’entrambi, abbracciandoci, e subito appresso, seduti di fronte, avviando un discorso qualunque, a frasi mozze, un sorriso in cui ci specchiammo a vicenda, in cui nel suo largo viso d’uomo già maturo io vidi affiorare e tremare, sorridendo timida e innocente, quella che so essere l’anima mia, la qualità nativa inalterabile dell’anima mia.
Un solo momento. Poi, tutto della vita ci ha fatti immediatamente apparire su due piani differenti, con l’impossibilità di qualsiasi scambio verace: incomunicabili, nonostante il sangue, nonostante l’uguale bontà della natura umana”. (Da: Sibilla Aleramo, Un amore insolito. Diario 1940/1944 [Milano: Feltrinelli, 1979] 57).
Assaggi
Col padre in fabbrica– “Pareva anche domandare il mio avviso. Ed io pensavo alla felicità di trovar pur io qualche cosa di nuovo da suggerirgli. La fabbrica diventava per me, come per lui, un essere gigantesco che ci strappava ad ogni altra preoccupazione, che ci teneva perennemente accesa la fantasia e saldi i nervi, e si faceva amare; — angolo di vita vertiginosa, da cui eravamo soggiogati, mentre credevamo di esserne i dominatori.”
La mamma invisibile-“Io non riesco a determinare nella mia memoria le fasi della lentissima decadenza avvenuta nella sua persona dal nostro arrivo in paese. Ella non aveva saputo sin dai primi giorni liberarsi da una certa timidezza che le impediva di andar sola o coi bimbi per la spiaggia o pei campi. Il paese non offriva altri svaghi: le donne dei maggiorenti non uscivano quasi mai di casa, ignoranti, indolenti e superstiziose; le contadine lavoravano più che i loro uomini; gran parte della popolazione viveva sul mare e del mare, riparando la notte nelle catapecchie che si ammucchiavano a cento metri dalla riva.”
Le bugie del matrimonio-“Non una moglie era sincera col marito nel rendiconto delle spese, non un uomo portava intero a casa il suo guadagno. Poche coppie mantenevano la fedeltà reciproca, e di parecchi signori s’indicava l’amante in qualche donna che viveva sola, o con un marito, su cespiti inconfessabili. Poco tempo prima, un feroce parricidio aveva funestato una casa: il figlio aveva colto suo padre con la propria moglie. Molte ragazze si vendevano, senza la costrizione della fame, per la smania di qualche ornamento; a quattordici anni nessuna rimaneva ancora del tutto ignara.
Ma restavano in casa, ostentando il candore, sfidando il paese a portar prove contro la loro onestà. L’ipocrisia era stimata una virtù. Guai a parlare contro la santità del matrimonio e il principio della autorità paterna! Guai se alcuno si attentava pubblicamente a mostrarsi qual era! Per questo mio padre era stato condannato selvaggiamente, e odiato da quel pugno di persone così inferiori a lui. Per questo egli aveva avuto una ribellione che l’aveva spinto sempre più oltre. E mio figlio nasceva in quell’ambiente !”
Annichilimento consapevole-“Colla chiusura dell’odiosa vertenza mio marito divenne più calmo, sospese del tutto le peregrinazioni nel passato. Per qualche tempo ancora mantenne i suoi divieti, ed io continuai a non uscire, a passare i pomeriggi chiusa a chiave, ad aver i fogli di carta da lettere numerati, a non poter vedere che i parenti, il dottore e la domestica, il tutto sotto l’apparenza della più ampia libertà e con procedimenti d’un’ingenuità che mi avrebbe divertita se i miei ventun anni prossimi a scoccare non fossero stati irrimediabilmente chiusi al riso.
Badavo ad evitargli le cause di preoccupazione, a prevenire anzi le sue esigenze, ma ormai più per la volontà di tutelare la tranquillità mia e di mio figlio, che per impulso di pietà. Egli, come pel passato, era ridivenuto ottuso, cieco e tranquillo. Desideroso d’un placido benessere, finiva per felicitarsi dell’avvenimento che me gli aveva data nelle mani vinta, rassegnata, passiva. Io osservavo nel rapido ripristinamento della sua figura normale, senza sdegno. Ormai non poteva più nulla, né per me né per lui.”
Un libro può salvare la vita-“In quei giorni di infinita solitudine, nel silenzio d’ogni richiamo umano, abbandonata veramente ogni speranza e ogni fede, trovai in un libro una causa di salvezza. Era il primo che prendevo tra le mani dopo molti mesi: un invio di mio padre, che mi vedeva raramente e mi pensava, certo, con amarezza, vittima silenziosa per non aver accolto il suo invito a rifugiarmi in casa sua, in quei giorni tragici. L’autore era un giovane sociologo di cui quel libro, uscito allora, diffondeva il nome in tutta Europa. Parlava di alcuni suoi viaggi in paesi giovani, e con una elegante vivacità traeva i profani e gli scettici a considerare dei problemi gravi che spuntavano dai contrasti fra due civiltà.”
Inutilità dell’assoluto-“Egli cerca un assoluto e nulla è più inutile, anzi nefasto… che l’assoluto, quando sappiamo che tutto muta, e che si muore. Egli cerca probabilmente una nuova prova dell’immortalità dell’anima, poiché le vecchie non reggono più. Ma gli uomini hanno creduto fino ad oggi a questa immortalità, e non sono divenuti migliori… ,,”
Donne e poesia -“Dicevo che quasi tutti i poeti nostri hanno finora cantato una donna ideale, che Beatrice è un simbolo e Laura un geroglifico, e che se qualche donna ottenne il canto dei poeti nostri è quella ch’essi non potettero avere: quella ch’ebbero e che diede loro dei figli non fu neanche da essi nominata. Perché continuare ora a contemplar in versi una donna metafisica e praticare in prosa con una fantesca anche se avuta in matrimonio legittimo? Perché questa innaturale scissione dell’amore? Non dovrebbero i poeti per primi voler vivere una nobile vita, intera e coerente alla luce del sole? Un’altra contraddizione, tutta italiana, era il sentimento quasi mistico che gli uomini hanno verso la propria madre, mentre cosi poco stimano tutte le altre donne.’”
Magnifica Roma-“avviammo a piedi verso il borgo Santo Spirito, costeggiammo il muro dell’ospedale; dall’altro lato della strada fanciulli e donne in cenci interrompevano giochi e chiacchiere per guardarmi nella mia apparenza di forestiera e tendermi la mano. Cenci appesi lungo i muri, tanfo nell’aria. Per la salita di Sant’Onofrio ancora cenci, ancora bimbi ruzzolanti, ancora finestre d’ospizi, graticolate. Un gruppo di educande con alcune monache discendeva.
In alto, al sommo del Gianicolo, ci fermammo un po’ affannati. Garibaldi; figura di leggenda, campato nell’azzurro, guardava tranquillo la cupola enorme alla sua sinistra. Lo sfavillio della massa compatta di case, di torri, di alberi che mi si stendeva sotto gli occhi era intenso, quasi insostenibile. In fondo i monti si staccavano turchini sul cielo, e lungo i declivi le macchie candide dei Castelli mandavano anch’esse barbagli. Tra i monti e Roma la campagna, l’immensità.
Roma! Forse ogni giorno lì in cima al colle qualche anima sentiva affluire in sé le più possenti energie, vedeva lucidamente segnate le opere da compiere nell’ammasso meraviglioso di pietre così diverse per età e tutte ugualmente scintillanti e significative; ogni giorno forse qualche anima aveva la visione d’una Roma dalla quale, nel tempo, scomparirebbero ogni violenza e ogni laidezza, nella quale le linee armoniose del suolo e del cielo non sarebbero più turbate da un incomposto agitarsi d’uomini fra loro estranei, incompresi, ostili…”
Milano: il potere e la vitalità delle città-“Fin da bimba avevo sentito in modo confuso come nella città l’uomo dia una sfida incessante e superba alla natura per lui limitata e insufficiente. In verità, circoscrivendo in certo modo la sua prigione, l’uomo si sente tra le mura cittadine più libero e possente che sotto l’infinito cielo stellato, che dinanzi al mare e alla montagna incuranti di lui; ciò spiega anche l’ostentazione del progresso che le metropoli offrono. Certo, qui come a Roma, come nel villaggio, quasi sempre il motivo dello sforzo era egoistico: gli esseri si premevano, correvano e sembravano indifferenti gli uni agli altri.
Ma un sordo agitarsi di coscienze s’intuiva tra quella rete fitta e tumultuosa, nei grandi sobborghi operai, nelle scuole, nei comizi: coscienze che si orientavano verso una visione ancora confusa, che trovavano stimolo al lavoro in qualcosa di non tangibile, in un sentimento di reciprocità, di solidarietà col passato e coll’avvenire, in una vera estensione d’amore nello spazio e nel tempo. E alcuni uomini e alcune donne, con serena pazienza, promovevano quasi da soli tutta quella germinazione. Un’ideale corrispondenza era fra essi e la mia vecchia amica di Roma: già in lei avevo ammirato e invidiato il potere animatore e propulsore che una forte volontà altruistica può esercitare nella città moderna.”
Treni letterari…un altro treno– “Mi trovai sul treno senza sapere come vi fossi venuta. I primi urti del carrozzone si ripercossero in me come se qualcosa si strappasse dalla mia carne. E il senso dell’ineluttabile m’invase ancor più quando mi vidi portata lontano su quella forza ferrea. Avevo camminato come una sonnambula. Ora la coscienza di quanto avevo compiuto mi appariva. Oh, la suprema agonia!”
Balena l’idea del suicidio, ancora- “svelle un altro per evitar la morte d’entrambi… Quanto durò l’orribile viaggio? Ad ogni stazione m’afferrava la smania di scendere, di aspettare un treno che mi riportasse indietro: poi, quando la corsa riprendeva, mi balenava a tratti l’idea del suicidio, cosi facile, lì, a quello sportello: istantaneo…”
Chi era la “scandalosa” Sibilla Aleramo, prima scrittrice femminista italiana avida di vita e d’amore
“Cinquantanove anni fa la morte di una delle più grandi autrici italiane del ‘900: “La sua voce non ci fa piombare in un passato ormai morto, ma ci riporta al presente e alla dose di coraggio necessaria per scegliere liberamente il proprio destino” leggi l’articolo di Stefania Parmeggiani-Repubblica.
2 pensieri riguardo “Sibilla Aleramo-UNA DONNA. Un destino disseminato di trappole, ma l’anelito di libertà è più forte.”
I commenti sono chiusi.