Finisco di leggere Malastagione di Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli, in “una tranquilla domenica di metà settembre”( cap. XXXVII).
L’esperimento di scrittura a quattro mani è riuscito. Anche se mi chiedo come si faccia a scrivere una storia gialla a più mani: chi scrive cosa? Uno butta sul piatto l’idea e l’altro la traduce in discorso? Uno fa poesia sull’ambientazione ripercorrendo i suoi monti, gli animali, le atmosfere da Purgatorio e Paradiso, mentre l’altro la traduce in discorso narrativo? Recuperano Insieme i personaggi tipici del posto e quelli che hanno già nel loro bagaglio letterario (l’ispettore Sarti di Macchiavelli)? Forse a tutte queste domande risponderei “sì, è proprio così”. Comunque, basta leggere le interviste degli autori per capire meglio la “procedura”. Fatto sta che il risultato è molto gradevole. Ed è compagno piacevole in queste ore, a volte malinconiche, di fine estate in pianura.
E sì, piedi mozzati in luoghi molto strani, due cadaveri, botte in testa e sparizioni richiedono un’indagine accurata. L’ispettore della forestale Marco Gherardini, detto Poiana (come suo padre e suo nonno) si trova coinvolto in una storiaccia di quelle “complicate e difficili da raccontare”, in cui ti imbatti in ragazze un po’ fuori di testa, immobiliaristi senza scrupoli, carabinieri antipatici, personaggi della montagna rudi ma generosi, un pizzico di bravi lavoratori extracomunitari, persino laureati. Marocchini, tunisini, tanto sempre Marocco sono!
Una storia in cui incontri la maliarda di turno che scatena la gelosia e la vendetta del rozzo costruttore, i prestanome, le due vedove scontrose, i vivai di gamberetti elettrificati, l’incendio doloso. Insomma di carne al fuoco ce n’è anche troppa. Ma l’abilità degli autori alleggerisce il tutto rendendo il piatto gustoso, come il cibo di montagna, ingrediente irrinunciabile: vino buono, cibo sano e ricottine di capra che già mi sembra di assaporarle.
Tutto questo ben di Dio lo trovi in un paese dell’appennino Tosco-Emiliano che ti fa venir voglia di andarci a respirare un po’ di aria buona, sperando però che non ci viva il Gherardini e, soprattutto sperando di non incontrare il cinghialone dal piede in bocca!
Epifanie vegetali
Qualche flashback personale: leggo dell’aspidistra e non posso non tornare al meraviglioso corso monografico su George Orwell del mio primo anno di Università e al musicale titolo Keep the aspidistra flying, che parla di una pianta (che mi piace molto) simbolo di una middle-class ottusa e con lo sguardo rivolto all’indietro.
E poi arriva il flash sull’ Ornello, tipo di frassino dal quale deriverebbe il mio nome. Quando mia madre disse basta e lo scelse per protesta contro tutte le litanie di nonni morti da “rallevare”. Quando la mia dolce nonnina reagì gridando velenosa:
“ Ornella? puah, dai alla bambina il nome di un albero che cresce dalle mie parti…”
Pensa come cambiano i tempi! Nel libro abbiamo un’elfa dei boschi che chiama sua figlia Fiorellino. (Ultimo flash inevitabile: Buonanotte, Buonanotte, Fiorellino…di Chicco De Gregori)
Apparenza e sostanza
Villino-Cimarosa o Casa delleStreghe-Avezzano
L’immagine dal libro che mi affascina più di tutte è l’intrigante Ca’ Storta. Vuoi vedere che tutto quello che sembra dritto è storto e quello che è palesemente storto è invece dritto e giusto? Semplice: leggi il libro e lo scoprirai! E con questo, insieme al Marco forestale acuto, diciamo arrivederci all’estate:
“Gherardini guardò il cielo, scuro per alcune nubi che la luna faceva quasi viola e disse: “l’estate se n’è andata”…
E a me resta la sensazione piacevole di averla chiusa tra le pagine “rinfrescanti” di Guccini e Macchiavelli.
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