In questi giorni sei spesso nei miei pensieri. Tu sei nel bel mezzo di una lotta che richiede tanta forza e tanto coraggio, qualità che ti appartengono da sempre. Intelligenza, cultura, coraggio ed empatia fanno di te una persona speciale.
Sei presente nei miei pensieri anche di notte, ed è infatti un sogno quello che voglio raccontarti.
8 agosto 2020-h2.45 Sogno per un’amica
Decidiamo di raggiungere in bicicletta un posto che non so bene quale sia, forse l’università, forse la scuola, forse una sala convegni. Io mi porto dietro il mio mal di schiena, tu i tuoi affanni, e forse una borsa carica di libri. Partiamo a fatica, ma tu sei più allenata. La strada è lunga. Mi pesa pedalare.
Raggiungiamo un quadrivio, ci fermiamo. Ma tu riparti subito. Stiamo per perderci, quando tu frettolosamente mi indichi la direzione: Via Vittorio Veneto, strada sterrata, cartelli sbiaditi. Tu vai avanti, io sono confusa, alla fine la trovo e la imbocco.
Ti vedo in lontananza, cerco di raggiungerti, ma temo di averti persa. Vado avanti dolorante e sghimbescia, raggiungo un gruppo di persone. No, tu non ci sei. È una famiglia.
Ora sono nel bel mezzo di una fitta rete di vicoli di un quartiere universitario, Padova? Venezia? l’Aquila? Entro ed esco dalle aule, attraverso negozi di un quartiere multietnico: cinese? arabo? libanese? (l’attualità mi accompagna).
Finisco nella casa del proprietario di uno dei negozi. le stanze hanno i pavimenti coperti di tappeti celestini elettrostatici che, appena ci passo sopra furtiva e spaventata, si appiccicano alle mie scarpe. Sto profanando un luogo di culto. Tornano i padroni di casa, gentili e comprensivi mi aiutano a liberarmi e mi accompagnano verso l’uscita.
Ora sono dentro un’aula universitaria, compare “la proprietaria” (ma di cosa?), antipatica. Una ragazza e un ragazzo parlano con me. Io sono senza occhiali, carina, vestita di nero con stivali cannella. Li riconosco. Cocò è rimasta con me dopo il film.
Ho due telefoni, uno vecchio e uno nuovo. Provo a chiamarti, sei scomparsa. Non trovo il numero giusto, ce l’ho ma non vedo bene, la rubrica è tutta confusa.
La bicicletta pesa. Il ragazzo mi corteggia. Io devo andare, sono nell’aula del convegno o una piazza o la pista di un circo o un’ aula magna. Non sei neanche qui. Devo proprio andare. Mi lasciano uscire, sono fuori, respiro e rassegnata penso di tornare a casa.
Sembra notte, ma all’improvviso, tra sprazzi di luce crepuscolare, comincia a nevicare. io non ho più gli stivali ma un paio di infradito. Che follia questo clima! Luce, neve, freddo, caldo!
Voglio tornare a casa, ma con la bicicletta, il tempo pazzo e il mal di schiena è veramente dura. Chiamo qualcuno che mi venga a prendere in macchina? E la bicicletta? Riconosco la zona in cui mi trovo: Avezzano, forse Padova, forse Roma. In linea d’area sono vicina. Sì, è Avezzano, in cinque minuti sono a casa.
Tu sei sparita, irraggiungibile. A casa mi aspetta mamma. Ahi! la schiena picchia. Non ce la faccio più, devo alzarmi.
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