
Le vacanze d’estate sono finite. Si torna a casa con qualche rimpianto, sì, ma con un più forte desiderio del nostro quotidiano, delle nostre cose. Casa dolce casa! Scarichiamo i bagagli e iniziamo il giro di controllo. Tutto a posto, non abbiamo ricevuto visite indesiderate, la corrente non si è staccata, le piante del giardino e dell’interno non hanno subito choc fatali. I vicini sono sempre lì, o forse no, non cambia molto dal tempo normale. Quartiere tranquillo il nostro, molto, molto tranquillo, peraltro i figli sono ormai cresciuti e volati via dai nidi e dunque l’unico trillo di vita è quello delle cicale e degli uccellini. Tanto silenzio, troppo forse, quando hai ancora nelle orecchie il suono e le armonie del mare, della gente felice nell’acqua, dei colori festosi di donne e uomini.
Il giorno dopo il rientro decidiamo di “rinfrescare la casa”. Bisogna arieggiare, pulire, respirare. Giù in taverna abbiamo lasciato le zanzariere abbassate. Ma le nostre dolci compagne padane e le loro sorelle che arrivano da chissà dove, sono sempre con noi, ci amano alla follia. Controlliamo pure le zanzariere, piccolo scrupolo.
“Aaah!”
Un urlo demoniaco fende l’aria fresca della stanza sotterranea. Due buchi enormi decorano la metallica rete! Ma che diavolo è successo? Cominciano le ipotesi più strampalate, poi ci calmiamo e passiamo oltre. Oltre sì, fino a notare qualcosa di sospetto sul divano e sul pavimento.
“Ma cosa sono questi? Uova di zanzara? No queste sono nere, uova di scarafaggio?, No, non saprei non ne ho mai viste… Polvere? Residui di cibo?”
Illuminazione, vuoi vedere che sono cacchette di topo? Ma come è possibile? Mai visti prima da queste parti, e compaiono ora gli immondi animali, in casa? Ad onor del vero una volta ne ho visto uno, piccolo piccolo, morto, vicino al cancello, gentile dono della gatta di quartiere Camilla, sì quella del vicino, che però si gode i giardini di tutto il vicinato…
Sono terrorizzata, stupita e allarmata. Che si fa? Qui ci vuole un esperto. Andiamo di corsa al locale consorzio con la prova del reato sigillata in una bustina. La signora Rosa, sempre molto gentile, esperta e ammiccante, conferma:
“Ebbene sì, topi…A volte succede che i più giovani mandino i vecchi in avanscoperta, o i vecchi si immolino per la comunità. Può essere questo il vostro caso e allora siete fortunati, peggio sarebbe se invece avessero già fatto il nido…”
Ci scambiamo un’occhiata avvilita, di punto in bianco l’effetto benefico della vacanza al mare e la freschezza salata spalmata nel profondo dell’anima, svaniscono:
“Allora, che facciamo?”
“Ecco- suggerisce la signora Rosa– questi potrebbero essere i rimedi: dolci esche rosa, strisce incollanti, e questi sono….”
“Bene ci dia tutto l’armamentario”.
Via a casa. Inizia l’operazione “sanificazione”. Smantelliamo lo stanzino, portiamo tutto in giardino e pensiamo:
“Però, questo topo è una specie di benedizione, finalmente butteremo tanta inutile paccottiglia”.
Togli questo, togli quello, di topi non si vede l’ombra. Passano le ore. Quand’ecco che di notte, mentre scendo in cucina, vedo due punti luce terrorizzati che scappano su e giù dalle scale.
“Oddio, ora ce lo troviamo nel letto, nooo!”
E chi riesce più a dormire. Non saprei dire chi dei due fosse più spaventato e disperato! ma le esche? Fesserie, la colla? Altra fesseria. Il topo c’è, vivo e vegeto.
Il giorno dopo continuiamo l’operazione caccia al topo. Ormai abbiamo spostato tutti i mobili e smontato quasi tutti gli scaffali dello stanzino, siamo alla stretta finale. Sono sfinita, esco in giardino per una boccata di ossigeno, prefigurando altri scenari da tregenda. Mentre sono immersa nei miei pensieri, sento una voce a metà tra la soddisfazione e la tristezza:
“guarda, cosa ho trovato”
Mi avvicino circospetta, ha in mano una piccola scatola di scarpe ed io non so cosa aspettarmi, altri escrementi, cibo puzzolente. Non so. Mi faccio coraggio, guardo dentro, e sento il cuore scoppiarmi nel petto. Il respiro si blocca. Non è una semplice scatola, è una piccola casa con tanto di ovatta, carta, piccoli oggetti trafugati e deposti lì, quasi ninnoli ornamentali.
In un angolino, addossato ad una “parete”, c’è il nostro topo, pasciutello e immobile. Lo sfioriamo con un bastoncino, non si muove. Si è ritirato in questo piccolo spazio per morire in pace, in solitudine. Qualche esca deve aver fatto effetto. La sua comunità ringrazia e forse sta già cercando altrove un posto in cui sistemarsi.
Noi siamo basiti, quasi commossi. La nostra caccia si è conclusa, ma siamo frastornati. Non ci aspettavamo un esito così commovente, dignitoso, inaspettato. Con la nostra caccia spasmodica abbiamo spinto un povero topo a concludere la sua vita nella tranquillità di quello che lui aveva scelto come posto per vivere. È solo un topo, eppure ciò che ha scatenato in noi è qualcosa di incredibile.
E tuttavia, la sanificazione va avanti, quasi a fornirci un alibi per il terremoto provocato. Compriamo tante scatole in cui contenere cibo, oggetti ed altro. Scatole da chiudere ermeticamente per timore che arrivino altri topi. Pittura fresca e soddisfazione di aver eliminato un’insidia.
Rimangono a ricordarci l’accaduto le zanzariere rotte. Ancora non le abbiamo sostituite. Le teniamo sempre su e non lasciamo più le finestre per lunghi periodi. Ma il ricordo di quell’esserino dignitosamente raggomitolato e morente è ben più forte, struggente e indimenticabile.
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