L’ Università  e le nuove sfide

Da La Stampa (12 Aprile 2012), a pag 17, notizia in Primo Piano: Il Politecnico cancella l’italiano. A Milano l’Inglese lingua unica  di Sara Ricotta Voza.

Diverse e tutte qualificate le opinioni a confronto su questo dibattutissimo tema. Il mio punto di vista, da manovale della formazione, riprende, in grandi linee, quello di Irene Tinagli in Un passo importante per il paese:

“L’iniziativa del Politecnico di Milano sancisce il completamento di un percorso di «ammodernamento» che probabilmente sarà seguito presto da altre facoltà. Un cambiamento che non solo darà un bel contributo a tutti i nostri ingegneri che vogliano misurarsi con mercati e opportunità a livello internazionale, ma che renderà l’Italia un Paese più attraente per tutti gli studenti stranieri che vogliano approfittare della eccellente qualità della formazione ingegneristica del nostro Paese. Tutto questo agevolerà quel processo di scambio culturale e di apertura internazionale fondamentale per l’innovazione e la competitività di un paese.”

Io preferisco parlare del provvedimento come della conseguenza logica di alcuni  eventi,  inerenti l’insegnamento/apprendimento/diffusione  dell’ Inglese nel mondo formativo italiano,  che hanno portato  dove siamo:

sperimentazione dell’approccio descritto, in atto nell’Università di Milano già da qualche tempo e dunque necessità di  formalizzare l’esperienza rivelatasi, peraltro, positiva nel tempo.

-più di un decennio di sperimentazione dell’approccio CLIL (Content and Language Integrated Learning) in Europa e in Italia, all’insegnamento/apprendimento integrato  di  contenuti disciplinari e linguistici.  Introdotto nella sua filosofia di base  dal  Threshold Level del Consiglio d’Europa negli anni 70 e  da diversi approcci come il Content-based approach, tipico dell’ambito scientifico/tecnologico, viene formalizzato negli anni 90/2000 dal Consiglio d’Europa nel Common European Framework for Teaching and Learning Modern Languages e in Italia, nel Progetto Lingue 2000 del MIUR;

–  Regolamento del MIUR sulla formazione iniziale dei docenti   che prevede l’obbligatorietà della certificazione delle competenze Linguistiche B2 del CEF per tutti i laureati e C1 per insegnare una disciplina non linguistica in Inglese; (qui la Gazzetta ufficiale per corsi di perfezionamento  )

Decreto di riforma dei licei   in cui il CLIL viene introdotto come percorso obbligatorio, sebbene differenziato.

All’interno di  LLP 2020 (Lifelong Learning Programmes) e specialmente in vista dell’applicazione della riforma dei licei da Settembre 2012, CLIL (Content and Language Integrated Learning) è tra le misure più esplorate (e finanziate) nella formazione di policy makers, decision makers, docenti, supervisori e formatori di docenti.

La chiave di volta del cambiamento è dunque un’ efficace formazione per l’ acquisizione di nuove competenze linguistico/comunicative, che non annullano certo la madre lingua, ma che arricchiscono invece il bagaglio culturale e linguistico dei futuri laureati e dottori ricercatori. L’innovazione disorienta, ma spinge necessariamente  verso il futuro.

Una delle obiezioni al  provvedimento riguarda l’informazione scientifica dei cittadini. Come aiutarli a capire  le innovazioni tecnologiche ed eventualmente votarle o orientare i politici nelle decisioni, se si usa solo Inglese? Certo, questo può essere un problema, ma l’opera di informazione e divulgazione deve essere presa in carico anche da altri attori importanti, per esempio i sindacati, i partiti politici di riferimento (i soldi sarebbero allora spesi in modo veramente proficuo per i cittadini), i media pubblici, che tutti, e ciascuno  secondo la propria Mission, dovrebbero provvedere a rendere comprensibili al grande pubblico le pubblicazioni sulle scoperte scientifiche e le novità nel campo della ricerca tecnologica.

L’uso di una lingua veicolare, nella fattispecie l’Inglese, è già una realtà in campo scientifico. Lo è da decenni, i report e le pubblicazioni in Inglese sono una realtà in continua espansione nelle realtà accademiche italiane. Di cosa ci meravigliamo dunque? Si tratta poi di mettersi d’accordo su quale “Inglese” usare per quale situazione comunicativa. 

Divulgare gli esiti di una ricerca in una lingua che possa attraversare i confini nazionali e raggiungere le comunità scientifiche del mondo è oggi una necessità. A meno che non riusciamo a fare del nostro bell’Italiano la nuova lingua franca, ma dati i tempi vi sembra un progetto percorribile? Oppure, ricorriamo all’esperanto, anche nella ricerca scientifica…why not?

Oggi, il Ministro Profumo dice la sua

E oggi, 13 Aprile 2012, si aggiunge al dibattito  “la” voce politicamente più autorevole: Il Ministro Profumo. Intervistato da Andrea Rossi,   definisce il politecnico come “un esempio da seguire”

Rossi chiede: “Sbaglia chi teme una sorta di discriminazione alla rovescia per gli italiani?

Il Ministro risponde:

«Sì. In alcune discipline tecniche e scientifiche l’inglese è la lingua di riferimento. E questa novità non dovrà essere introdotta in tutte le università. Più che un ostacolo, a me sembra un’opportunità per il nostro sistema scolastico di migliorare, mescolando il sangue, costruendo nuovi rapporti tra studenti, e tra studenti e professori».

Leggetevi anche l’impietosa sezione Questions and Answers  sullo Stato dell’arte delle competenze in lingua straniera degli Italiani e degli Europei!

Aggiornamenti 2013

Ed ora tocca al ministro  Carrozza e al Sole 24ore. Leggi l’articolo di Massimo Mario Augello

L’Italia deve attirare i cervelli più brillanti

p.s. I apologize for the numerous links, (netiquette mistake!) which may, however,  help readers to focus  the issue.