Posted on gennaio 12, 2012 by affascinailtuocuore
La presentazione del Libro di Maurizio Parodi La scuola che fa male , che avevamo già segnalato in questo spazio, mi offre l’occasione di mandare un saluto e un ringraziamento a professori e maestri. Sono loro che in questi anni tormentati hanno permesso ai figli degli Italiani tutti, da Nord a Sud, di resistere decentemente all’urto della modernità, sono loro che hanno contribuito a formare le eccellenze che tutti ci riconoscono all’estero.
L’ultima indagine di Ilvo Diamanti, presentata nel programma di Corrado Augias Le Storie-Diario Italiano, mette la scuola al terzo posto tra le istituzioni di cui gli italiani si fidano di più. E finalmente, per la prima volta, viene apertamente riconosciuto al corpo docente il merito di aver sopperito alle innumerevoli mancanze organizzative, alle insufficienze economiche e alle inefficienze istituzionali con la loro professionalità, passione, senso del rispetto per sé e per gli altri. Auguro a questa meravigliosa moltitudine un 2012 ricco dei dovuti riconoscimenti e della convinta gratitudine di tutti.
Lunedi’ 16 gennaio, ore 20.30 – Casa Novarini – Via Monte Ortigara 7
San Giovanni Lupatoto – VERONA
L’Assessorato alla Cultura insieme a Ugo Brusaporco
Presentano
Maurizio Parodi e il suo ultimo libro: La scuola che fa male (Liberodiscrivere® edizioni)
“Testo fondamentale per genitori e insegnanti che, come spiega nella sua prefazione Maurizio Maggiani, affronta uno dei mali più gravi e più sottili che affliggono la scuola: “l’aver costruito una lingua, una logica, una struttura concentrazionaria del pensiero. La scuola fa danno quando si autoreferenzia, ma soprattutto quando, in questa autoreferenzialità, gestisce la miseria di sé e non la sua grandezza. Oggi molti bambini non hanno nessuna educazione perché vivono in famiglie totalmente deresponsabilizzate; bambini tiranni che passano gran parte del loro tempo e utilizzano le migliori energie per tentare di capire, di mettere insieme i cocci di famiglie inesistenti. Facile che la scuola, come la famiglia, rischi di fare danni senza dare nessuna bussola. Sempre meglio una cattiva educazione che nessuna educazione”, conclude Maurizio Maggiani.
L’autore sarà presente e a disposizione del pubblico. L’ingresso è libero.
Il testo si avvale dei prestigiosi contributi di Silvano Agosti e Maurizio Maggiani ed è impreziosito dalle vignette di Francesco Tonucci”
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Posted on giugno 20, 2011 by affascinailtuocuore

Giornalista e corrispondente del Sole-24-Ore, Marco Niada si avventura nella descrizione della Capitale del XXI secolo.
Lettura veloce, nel complesso interessante. Tocco giornalistico “mordi e fuggi” sui vari aspetti della poliedrica Londra. La prima parte risente notevolmente della specializzazione finanziaria dell’autore. Gran quantità di dati, utili ma a tratti noiosi.
Il collage dei vari “pezzi” sembra quasi conferire una struttura a spirale dove ogni capitolo-articolo parte da quanto già detto poco prima per sviluppare il nuovo aspetto. Sulla base della mia conoscenza di Londra, oggi, posso dire che il ritratto finale è fedele: incoraggiante per certi versi, triste e sconfortante per altri.
A voi scoprire i dettagli. Lo consiglierei a chi volesse recarsi a Londra alla ricerca di quel “quid” che solo questa città possiede.
Quarta di copertina: il sindaco di Londra, Boris Johnson, parte da lontano… per raccomandare la lettura del libro:
“Quando i romani sono arrivati qua, nel 40d.C., Londra era una palude da cui affioravano isolotti di ghiaia e sabbia. Oggi è una metropoli di circa otto milioni di abitanti, vivace, sofisticata, spettacolare. A gettare le fondamenta di tutto questo sono stati i romani: anche per questo li ammiro profondamente, così come ammiro la capitale italiana. Mi ha fatto molto piacere la definizione di Marco Niada della Londra contemporanea. “la capitale del XXI secolo”; così come mi ha molto interessato leggere delle sfide che deve affrontare. Niada racconta la mia città con precisione e con affetto. Raccomando dunque questo suo fantastico libro a tutti.”
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Posted on febbraio 20, 2011 by affascinailtuocuore

Maledetto il paese che non ha bisogno dei giovani!
Food for thought dalla Spagna di Miguel de Unamuno, quasi un ritratto provocatorio della società Italiana:
“Non ci sono correnti vive interne nella nostra vita intellettuale e morale; questo è un pantano di acqua stagnante, non una corrente sorgiva. Solo una sassata può agitare la superficie e, tutt’al più, smuove il fango sul fondo e intorbidisce l’acqua del pozzo. Sotto un’atmosfera soporifera si estende un deserto spirituale di un’aridità terrificante. Non c’è freschezza né spontaneità, non c’è gioventù. Ecco qui il punto terribile: non c’è gioventù.
Ci saranno i giovani, ma la gioventù manca. E il punto è che l’Inquisizione latente e il formalismo senile la tengono repressa. In altri Paesi europei appaiono nuove stelle, la maggior parte di esse sono erranti e scompaiono subito dopo la loro comparsa; c’è il galletto del giorno, il genio della stagione; qui no, non c’è nemmeno questo: sempre gli stessi cani e con gli stessi guinzagli. Si dice che, qua e là, ci siano germi vivi e fecondi, mezzi nascosti, ma il terreno è così pressato e compatto che i teneri germogli dei semi profondi non riescono a rompere lo strato superficiale della crosta, non ce la fanno a rompere il ghiaccio.
Un uomo che, alla sua età, conserva più che una fede matura, un vigoroso entusiasmo giovanile, sostiene che qui i giovani promettono qualcosa sino ai trent’anni, e poi si trasformano in mollaccioni. Non si trasformano, li trasformano; cadono feriti e anemici di fronte al reticolo brutale e ferreo del nostro autoritarismo e della nostra stupida gravità; nessuno dà loro in tempo uno sguardo benevolo e d’intelligenza. Li si vuole diversi da come sono; il nostro spirito di intolleranza irrancidito non riesce a pensare di lasciare che ciascuno si sviluppi secondo le sue inclinazioni e la sua natura.
Poco fa un critico chiedeva un quarto turno all’Español per gli autori emergenti e sconosciuti, qualcosa di simile a un teatro libero. Generosa illusione! Sappiamo forse riconoscere il nuovo germoglio? Ci manca quello che Carlyle definiva l’eroismo di un popolo, il saper riconoscere i suoi eroi. Se dei ragazzi fondano una rivista, vedrete subito sulle loro testate i soliti nomi di cartello. Nella vita intellettuale, come nella corrida – anch’essa appestata dalla formalità – l’alternativa deve essere proposta dalle mani delle vecchie spade, il resto non andrà mai oltre il rango inferiore di novillero. Accanto a questa deformazione nei confronti della gioventù, si trova un superstizioso servilismo verso gli incensati.
È stato esercitato con furia implacabile il compito di tormentare e schiacciare i germogli freschi, senza distinguere il tenero dalla sterpaglia in cui cresceva, e non sono stati toccati il vischio, i tumori e le escrescenze delle vecchie querce, incensate e intoccabili. Quanti giovani morti nel fiore di questa società, che ha occhi solo per il trito e ritrito, cieca verso quello che si sta facendo! Giudica morti tutti quelli che non si sono iscritti in una delle tante massonerie, quella bianca, quella nera, grigia, rossa, blu…
Si aggiunga, inoltre, che la povertà della nostra nazione rende difficile guadagnarsi la vita e mettere radici; il primum vivere soffoca il deinde philosophari. I giovani tardano a lasciare i lembi della gonna materna, a separarsi dalla placenta familiare e, quando lo fanno, disperdono le loro forze nella ricerca di un padrino che li guidi in questa savana agghiacciante. Per sfuggire all’eliminazione, mettono in atto tutte le loro facoltà camaleontiche sino a prendere il colore grigio scuro e sbiadito dell’ambiente circostante, e ci riescono. Non è un adattarsi alle circostanze facendo sì che queste si adattino a loro volta, attivamente, a essi; è un adagiarvisi passivo.
Viviamo in un Paese povero, e dove non c’è farina è tutta una moina. La povertà economica spiega la nostra anemia mentale; le forze più fresche e giovanili si esauriscono nel tentativo di affermarsi, nella lotta per il destino. Sono poche le verità più profonde di quella per cui, nella gerarchia dei fenomeni sociali, quelli economici sono i primi principi, gli elementi.
E il nostro male non è tanto la povertà, quanto l’impegno a esibire quello che non c’è. La povertà del bollito fatto con le ossa, l’insalata di carne delle altre sere, i dolori e le lamentele dei sabati e le lenticchie del venerdì contribuirono senz’altro alle veglie notturne passate nella lettura dei libri di cavalleria che seccarono il cervello al povero Alonso il Buono. Ed è ancora corrente tra noi l’aforisma di Dómine Cabra secondo cui la fame è salute; fa proseliti il dottor Sagredo, e si continua a ribadire gravemente che i tumori esprimono la forza del sangue, e gli attacchi di epilessia l’eccesso di salute. E ci prescrivono la dieta come ricetta. E attenzione a dire la verità! Quello che la dichiara virilmente, senza ambasce né circonlocuzioni, viene accusato di pessimismo dagli spiriti fragili e scettici. Si vuole continuare la ridicola commedia di un popolo che finge di ingannarsi riguardo al proprio stato.
Non c’è una Giovane Spagna, né qualcosa che vi corrisponda; nessuna protesta che non sia quella trincerata attorno ai tavolini dei caffè, dove si dispensa ingegno e si spreca vigore. E quegli stessi oratori protestanti dei caffè, molti di loro briosi e pieni di vita, quando si trovano di fronte al pubblico si comprimono e, paralizzati e come stregati dalla vista della bestia collettiva, si mettono a intessere le più colossali volgarità e i canti più ritriti della pubblica routine. Si soffoca la gioventù senza comprenderla, volendola di certo seria e formale; come Dio vuole il Faraone, prima la si assorda, poi la si chiama e, vedendo che non risponde, la si denigra. La nostra società è la vecchia e castiza famiglia patriarcale allargata. Viviamo in piena presbitocrazia (vetustocrazia, è stata chiamata), sotto il senato dei sachems, subendo l’imposizione di vecchi incapaci di comprendere lo spirito giovane e che mormorano: «Non spingete, ragazzi», quando non fanno da anestetici per quelli che accolgono sotto la loro protezione: «Ah! Lei è ancora giovane; ha molto tempo davanti a sé…», come dire «lei non è ancora abbastanza tonto per potersi avvicendare con me. La sconcertante gerarchia chiusa dell’antichità e l’occlusione di tutte le vie.
Gli stessi giovani invecchiano o, meglio, si invecchiano subito, si formalizzano, si istupidiscono, si incasellano e fanno quadrato e, diventando disciplinati come un turacciolo, possono entrare come pedoni nella nostra scacchiera spagnola e, se si comportano da bravi bambini, diventare alfieri.
Dov’è assente la gioventù manca anche un vero spirito di aggregazione, che nasce dal traboccare della vita, dal vigore che monta e si travasa. Qui le società nascono ossificate – se nascono -, perché l’asocialità è uno dei nostri tratti caratteristici. Estesa alle relazioni sessuali, la nostra asocialità fomenta la brutalità maschilista, fonte di grandi volgarità e di oscene posture, per finire sottomettendo gli uomini a capricci e piccoli intrighi femminili, come tanti pulcinella.
È deprimente per l’anima vedere i danni della nostra asocialità, del nostro stato brado mascherato. \[…\] Nella vita comune e nei commerci della gente, l’estrema povertà di idee ci porta a saturare la conversazione, come riempitivo, con parolone goffe, mascherando così la balbuzie mentale, figlia di quella povertà; e l’opacità di ingegno, digiuno di nutrimento sostanzioso, ci conduce a divertirci con la barzelletta da taverna e altre basse oscenità. Persiste la propensione alla volgare ordinarietà che ho segnalato come caratteristica del nostro vecchio realismo castizo. Su questa miseria spirituale si estende il polipo politico e in questa anemia si sono congestionati i centri più o meno parlamentari. In una politicuccia così meschina l’ingegnosità soppianta il sapere solido e si fanno scaramucce da guerriglia. La piccolezza della politica diffonde il suo virus a tutte le altre estensioni dell’anima nazionale. Ed è in crisi persino il polipo. I vecchi partiti, rinsecchiti nella loro scorza autoritaristica, si trascinano aridi e spunta, come segno dei tempi, il bon ton scettico, quello della distinzione elegante, il neoconservatorismo dilettantesco e da signorini con colpi plutocratici.”
(fonte: Tuttolibri, Sabato 19 Febbraio)
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Posted on gennaio 3, 2011 by affascinailtuocuore
Lettera ai miei cari
20 Ottobre 2007
Il Cacciatore di Aquiloni. Ne avevo sentito parlare. Mi ha catturato in libreria il meraviglioso rosso (torna questo magico colore nelle mie scelte…)
L’ho afferrato, l’ho iniziato, l’ho divorato e, alla fine, oggi, rimpiango che sia finito. Porto con me però le profonde emozioni, il dolore e il piacere intrecciati in eterna contraddizione.

Vorrei farvelo leggere. Vorrei che tutti voi, ora o domani, foste assaliti dalla voglia di leggerlo. Sento il desiderio di portarlo con me a Londra. Il contatto fisico con la carta vissuta di lettura mi aiuterà a sentire anche tra le dita le sensazioni forti che le parole hanno provocato in me. Oggi mi sento più ricca.
Dal risvolto di copertina:
“ Si dice che il tempo guarisca ogni ferita. Ma, per Amir, il passato è una bestia dai lunghi artigli, pronta a inseguirlo e a riacciuffarlo quando meno se lo aspetta. Sono trascorsi molti anni dal giorno in cui il suo amico Hassan-il ragazzo dal viso di bambola, il cacciatore di aquiloni- è cambiata per sempre in un vicolo di Kabul. Quel giorno Amir ha commesso una colpa terribile. Così, quando una telefonata inattesa lo raggiunge nella sua casa di San Francisco, capisce di non avere scelta: deve partire, per tornare a casa, per trovare il figlio di Hassan e saldare i conti con i propri errori mai espiati. Ma ad attenderlo, a Kabul, non ci sono solo i fantasmi della sua coscienza…”
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