Casa delle Donne di Padova – AVEVO VENT’ANNI… Una lettera per le elezioni politiche 2022

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Avevo vent’anni…..

Avevo 20 anni negli anni Settanta quando è entrato in vigore il nuovo diritto di famiglia. Mi ero appena sposata e avevo dovuto dichiarare davanti all’Ufficiale di stato civile che avrei ubbidito a mio marito e che lo avrei seguito ovunque egli avesse deciso di stabilire la sua residenza. Per fortuna al mio compagno questa dichiarazione suscitò e suscita tuttora ilarità, accettammo infatti le formalità del matrimonio solo per non dare un colpo troppo duro alle rispettive madri in un’epoca nella quale la convivenza non rientrava ancora negli schemi mentali dei più, anzi lo stesso matrimonio con rito civile nel Veneto di quegli anni era una scelta anticonformista. Avevo appena ereditato dopo la morte di mio padre, come sua erede diretta, le sue piccole proprietà; mentre per mia madre la legge prevedeva solo l’usufrutto, come se la donna fosse un accessorio secondario nella linea della successione. 

Del resto le leggi erano fatte e interpretate dagli uomini e per gli uomini vista la composizione quasi esclusivamente maschile del Parlamento, l’apertura recentissima alle donne della carriera in Magistratura e la scarsa presenza femminile nei posti di lavoro, dove in genere le donne rivestivano ruoli sottopagati e poco tutelati soprattutto nelle aree della cura, considerate di pertinenza femminile. Era infatti opinione diffusa che tutte le donne dovessero essere destinate per la loro stessa natura alla maternità e alla cura della casa e dei familiari: marito, figli, genitori, suoceri….e  che potessero lavorare, con indicibili e solitari sforzi per conciliare lavoro e famiglia, solo in caso di bisogno per integrare il reddito familiare. Ne erano convinte anche molte donne e non poteva essere che così dato che questo messaggio veniva ribadito sia in famiglia, che in chiesa, che nella scuola, come ci testimoniano i libri di testo di allora, visto che la religione cattolica doveva essere, come recitano i programmi dell’epoca “fondamento e coronamento” dell’istruzione elementare.
Evitare gravidanze indesiderate era molto difficile perché fino agli anni Settanta era vietata la libera commercializzazione e, la propaganda degli anticoncezionali, non veniva impartita, se non da qualche famiglia particolarmente lungimirante ed istruita, alcuna educazione sessuale né a scuola né tantomeno nei consultori che non erano ancora stati istituiti.

L’aborto era un reato suscettibile di condanna penale e i tanti aborti clandestini che venivano praticati erano molto rischiosi soprattutto per le donne più povere. Un buon matrimonio continuava ad essere considerato un’opportunità importante da molte donne, ma poiché ogni cosa ha il suo prezzo, fra i coniugi anche nei contesti privilegiati la donna aveva un ruolo subalterno, lo stesso adulterio veniva penalizzato in modo differente a seconda che fosse compiuto dall’uomo o dalla donna ed era previsto uno status giuridico diverso dei figli naturali rispetto a quelli legittimi. Pertanto se la situazione matrimoniale si fosse rivelata insostenibile non c’era la possibilità di porvi rimedio attraverso il divorzio e pure ottenere la separazione era difficile e penalizzante nei confronti della donna.

Solo nel 1981 erano state abolite l’attenuante della “causa d’onore” e la norma per cui uno stupratore avrebbe potuto vedere estinto il reato se avesse sposato la vittima: come se la donna stuprata fosse stata un oggetto danneggiato in un negozio da un cliente che per risarcire il danno avrebbe dovuto acquistarlo. Per fortuna, anche se solo due decenni prima, Lina Merlin aveva affermato con forza che la donna non è un oggetto in vendita, riuscendo a far chiudere le case di tolleranza, che qualche simpatizzante della destra reazionaria vorrebbe addirittura far riaprire.

Nei miei ricordi si affaccia anche l’emozione che ho provato quando finalmente ho letto nelle pagelle dei miei figli che era richiesta la firma di uno dei genitori e non “padre o di chi ne fa le veci”, come invece recitava la mia. Naturalmente non era solo una questione di firma, poiché essa era il segno evidente del maggior potere decisionale esercitato dal padre rispetto alla madre sul destino dei figli.
Potrei continuare a lungo nei miei ricordi per evidenziare le discriminazioni subite dalle donne, e anche da coloro che avevano un diverso orientamento sessuale o mancavano di una chiara identità di genere, persone alle quali non veniva riconosciuto né dalle leggi né dal senso comune il diritto, che deve essere invece garantito a tutti, di essere sé stessi e di realizzare un proprio progetto di vita.

Firmato: una socia della casa delle Donne di Padova

Manifestazione femminista al quartiere della Magliana.
Manifestazione femminista al quartiere della Magliana (Roma).

 

Questa lettera, giunta alla nostra redazione, riassume in una semplice storia cinquant’anni di conquiste femministe e dei movimenti progressisti. La pubblichiamo perché ne condividiamo a pieno le preoccupazioni. Alle donne, anche le più giovani che faticano ad immaginare quanto impegnativo sia stato per le loro madri e le loro nonne raggiungere quei diritti e quella possibilità di autodeterminarsi, vogliamo ricordare che i diritti civili sono fondamentali per qualsiasi avanzamento della società e che una volta conquistati richiedono un continuo lavoro collettivo, perché le forze che si oppongono alla loro piena realizzazione sono molte. 

Riteniamo che altre lotte dovranno essere portate avanti per migliorare la vita delle persone meno tutelate, non solo le donne, (oltre all’aborto farmacologico, la parità salariale, l’accesso al lavoro anche nei livelli più elevati, e molto altro) ma tutti i soggetti fragili, le persone immigrate, quelle sfruttate e uccise sul lavoro, il mondo arcobaleno, le persone con disabilità o con sofferenze psichiche e di qualunque persona che non si riconosca nei valori della tradizione patriarcale. 

Mai negli ultimi decenni il diritto di voto è stato così importante per il movimento delle donne.

Newsletter n.31, Settembre 2022