W. Allen-MANHATTAN, dal copione al film, al cassetto della memoria.

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Al mercatino dei libri usati della Casa delle donne di Padova, un libro sottile, dalla carta granulosa attira la mia attenzione: Manhattan di Woody Allen. In copertina le silohuettes di Mary e Ike, seduti ad ammirare il risvegliarsi del giorno, proprio come nella locandina del film. Un’immagine iconica che riassume un’atmosfera potente e indimenticabile.

“Ragazzi, questa è davvero una grande città, non mi importa di quello che dicono gli altri, è proprio, è veramente un knock out, vero?”

Isaac Davis è un autore televisivo di 42 anni che abita a Manhattan. Ha appena divorziato dalla sua seconda moglie Jill che l’ha lasciato per un’altra donna, Connie e che sta scrivendo un libro su quel matrimonio fallimentare. Isaac, a sua volta, frequenta Tracey, una ragazza di 17 anni, in una relazione che egli immagina breve, a causa della differenza di età. Il suo migliore amico, Yale, sta attraversando un periodo difficile perché, pur essendo sposato con Emily, ha iniziato una relazione con Mary, un’affascinante giornalista divorziata. Gente di Manhattan, tanta, diversa che affolla le strade in un andirivieni isterico e tuttavia affascinante. I nostri personaggi newyorkesi sono destinati ad incrociarsi, dividersi, ritrovarsi, lasciarsi per sempre, forse. Le loro storie prendono vita grazie ai giochi stilistici e amorosi che Woody Allen mette in campo.

Dal copione al film 

Il libriccino è di fatto il copione del film. Lo afferro, verso l’offerta nell’apposita scatola e me lo porto a casa. Ha risvegliato ricordi ed emozioni custoditi nel cassetto della memoria. Recupero il film su YouTube. È in due tempi. Me lo guardo avidamente, giocando ad abbinare le parole e le immagini alle battute del copione-libro. Coincidono perfettamente, ma alla bellezza e all’efficacia dei dialoghi e dei monologhi di Ike, si aggiunge la potenza evocativa della colonna sonora con composizioni di George Gershwin, eseguite dalla New York Philarmonic Orchestra(CBS–Columbia 1979). E il trionfo è completo con la suggestione del meraviglioso bianco e nero delle immagini. Delizioso e bellissimo, leggero e profondo.

Tracey, sublime creatura! Giovane e matura, il volto pulito del mondo. “Bisogna avere fiducia nella gente.” dice ad Ike con la consueta dolcezza ammiccante, mentre si accinge a prendere il volo per Londra, dove resterà per sei mesi a frequentare la scuola d’ arte drammatica. E Ike dovrà, fidarsi, avere pazienza e aspettare il suo ritorno, se vuole tornare con lei, dopo aver tanto insistito perché “cogliesse quell’occasione unica” e dopo averla fatta tanto soffrire per l’abbandono.

Il film si chiude sul viso sorridente di Ike che forse ha capito il messaggio di quella ragazza, ormai diciottenne, più adulta di tutti gli adulti  che la circondano.

Esterni. Manhattan. Giorno.

L’orizzonte della città, il sole tramonta dietro le nubi.

Esterni. Manhattan. Notte.

Edifici e un ponte illuminato.

Gente a Manhattan

Estate 1984, sono a New York per un periodo di studio presso la New York University, con borsa di studio Fulbright. Ho inviato tante lettere ai miei affetti in Italia, in cui raccontavo l’ esperienza, man mano che la vivevo. Oggi, mentre ne copio alcune, affiorano dettagli nuovi che avevo tralasciato, e non so perché.

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Il 4 Luglio

Ti racconto il mio 4 Luglio, giorno dell’Indipendenza Americana. Abbiamo brindato all’America, poi siamo andati a Staten Island con il ferryboat (mi ricorda qualcosa!) Ho visto i grattacieli di Manhattan dal mare: Wonderful! Anche se erano avvolti da una suggestiva nebbiolina. La Statua della Libertà è ingabbiata (scaffolded) per lavori di restauro, e senza torcia, peccato. La sera siamo andati a mangiare al Thai, ristorante tailandese. Ho mangiato fuoco! Tutto molto bello comunque, e stuzzicante. Dopo, a piedi, tra i grattacieli di NY, a vedere i Fireworks. Fuochi d’artificio favolosi. Enormi, coloratissimi trasformano milioni di persone, ordinate, colorate e felici di assistere allo spettacolo, in bambini entusiasti. Poi tutti insieme verso casa, ma prima via, a caccia di un taxi. Ce ne sono migliaia, e presi in gruppo, sono economici, specialmente i checkers.”

Woody al Michael’s Pub 

Dunque, c’è un locale sulla 55esima, Michael’s Pub, dove ogni lunedì suona Woody Allen. Ci siamo andati, da morire dal ridere! Un piccolo ingresso, decine di persone in piedi, al di qua di un cordone che separa la folla dal mito. E il primo drink gratis. Al di là alcune persone sedute, sono un piccolo gruppo di musicisti e lui, il Messia, a tavola con uno dei figli sulle ginocchia, biondo come un angioletto, e alcuni amici. Tale e quale al personaggio dei suoi film. Alle ventidue e trenta comincia a suonare il clarinetto, davvero fantastico, l’orchestrina lo segue, lo accompagna, gli lascia spazio. Noi continuiamo a guardare e ad ascoltare al di qua del cordone. Ogni tanto rido tra me e me per l’atmosfera surreale del posto. E per gli sguardi adoranti di alcuni spettatori. È tutto così ridicolo! Chissà cosa ne pensa il grande regista! Eppure, mi diverto, tanto.

Dopo l’entusiasmante Michael’s Pub, approdiamo a Washington Square, nel Greenwich Village, punto di incontro di giovani, di universitari della NYU e di artisti di strada strambi e originali.  Enormi radioregistratori pompano  musica ad alto volume, uno street dancer nero improvvisa uno spettacolo e noi ci lasciamo coinvolgere nella sua danza.”

Al Village

Città trasparenti, da agognare e vivere nel più totale distacco barbonesco. Non parlerò di New York. Certo che nel leggere della Manhattan anni ’80 non ho potuto evitare di cercare avidamente cenni alla stanza 13 del Dorm NYU, 3rd Street. Il Village poi, e quel welfare party a casa di Philip, nostro mentore newyorkese: 100 Bleecker Street.

Lì ho salutato NY, in una serata bella, nostalgica, un po’ triste, con addosso la sgradevole sensazione di aver perso qualcosa, qualche grande opportunità di vita, in quella umida estate di tombini fumanti, caldo soffocante e ambienti gelidi con aria condizionata al massimo. E, ovviamente, abbigliamento inadeguato.

Tanti cockroaches (scarafaggi) ed inefficaci interventi di exterminators ( addetti alla disinfestazione): odore di Baygon ancora nelle narici e nella memoria. Persino nel letto! Che angoscia nel “dorm NYU” dove vivevo sepolta tra libri, scartoffie e seminari! Sopraffatta dallo stress e da un profondo desiderio di cancellare il passato senza essere in grado di vivere il presente, e godermelo a New York, la città che non dorme mai! Mi sto identificando con i personaggi di New York Trilogy di Paul Auster? è qui la risposta? “