La storia
Vera, Nina, Ghili e Rafi sono i protagonisti di un tormentato viaggio dentro l’anima e il corpo di tre donne profondamente ferite dalla vita, ma ostinatamente in cerca di un’identità comune da ricostruire: la novantenne nonna Vera, vittima dei soprusi del regime di Tito; Nina (“artista della vita”) sua figlia “abbandonata” a soli sei anni il giorno in cui la polizia politica trascina la madre verso il baratro della prigionia; Ghili, nipote “abbandonata” da Nina, madre apparentemente incapace di vivere e amare. Rafi papà di Ghili e compagno di Nina fa da regista, nel verso senso della parola, registra con la sua Sony i racconti di Vera e le interazioni tra le tre donne. Israele li accoglie tutti offrendo loro una seconda chance.
Vera la Mitteleuropea «Siamo a Čakovec” spiega Vera alla videocamera, con un tono da guida turistica. «Vicino a confine con Ungheria e con Austria. Andavamo a vedere teatro e opera a Budapest e a Vienn a. Era nostra cultura. Ungherese era nostra prima lingua. Perciò io non sono ebrea di balcani, e neanche di ghetto. Sono di Mitteleuropa! Europa vera! Non c’è rimasta altra europea come me!»
Il cuore del romanzo è il viaggio del gruppo a Goli Otok, isola maledetta e feroce dove Vera è stata confinata e dove ha subito le più atroci torture. Il loro arrivo è accompagnato da un’autentica tempesta di pioggia e vento, ben armonizzata con la tempesta di emozioni suscitate dal racconto autobiografico di Vera. La meta è la pacificazione finale.
Arrivata a Goli Otok, meglio conosciuta come “l’Alcatraz dell’Adriatico”, Vera comincia ad andare di qua e di là come impazzita, alla ricerca dei luoghi della sofferenza: qui c’era questo, qui c’era quello, là quell’altro. Ricostruisce così il suo soggiorno infernale, nei minimi dettagli.
I dettagli contano“ Varietà Ettinger. Ogni dettaglio è importante. È così che si costruisce un mito” p.10
Proposte indecenti
Alla base del lungo conflitto intergenerazionale, c’è la scelta dolorosa e apparentemente incomprensibile che Vera è costretta a fare. Il suo amato marito Miloš si è suicidato pur di non ammettere il tradimento di cui è accusato, lasciando la sua compagna di vita nel caos più totale.
L’incontro con Miloš al ballo “Vera da una dimostrazione pratica, balla come se fosse nata a Harlem. Si muove con leggerezza incredibile (a novant’anni!)e canticchia Bella Ciao,la canzone dei partigiani italiane e iugoslavi della sua giovinezza. «E mentre balliamo lui quasi non mi parla, Miloš. Mi stringe come gentiluomo, non se ne approfitta, e soltanto se io gli faccio domande lui risponde…»
La stessa proposta viene fatta a Vera. Le viene offerta la libertà e la possibilità di riabbracciare la piccola Nina se firma una carta in cui afferma che suo marito era un traditore. I Titini credono di aver trovato la soluzione giusta per una fragile madre vedova. Ormai suo marito non c’è più e lei deve pensare solo alla figlia.
Ma questo è il loro punto di vista. Vera non la pensa così. Non vuole tradire l’anima del suo Miloš, uomo integro, buono, amorevole e sempre fedele alle sue convinzioni politiche. (Però si è ucciso, ma perché l’ha lasciata sola in questo impiccio?). Rifiuta la proposta e accetta il suo destino di sofferenza, per due lunghi anni nel lager di Goli Otok. E Nina resta sola, senza papà e senza mamma.
Quando torna alla sua vita “normale” Vera non riesce a trovare il coraggio di parlare della sua scelta. Solo al compimento del suo novantesimo compleanno, durante la grande festa che la famiglia organizza per lei, e dopo essere venuta a conoscenza della malattia irreversibile dell’amata figlia, Vera si lascia andare, fino ad accettare il lungo viaggio verso la verità.
Commovente è la proposta di Nina di registrare il viaggio rivolgendosi alla Nina futura, quella che l’Alzheimer avrà reso senza memoria. Nina vuole che in futuro le facciano vedere questo documentario ogni giorno, come fosse una medicina miracolosa. Ghili lavora nel cinema, ha una lunga esperienza di segretaria di produzione nei film di suo padre Rafi e dunque vuole fare di questo filmato il documentario della vita.
Sull’isola accadono cose strabilianti, tra i quattro si instaura un circuito vibrante di passione e dolore, anche fisico. Succedono cose che stravolgeranno tutti i piani della documentarista Ghili e di Rafi, suo mentore-padre-regista.
Il titolo
A telecamera spenta escono dalla bocca di Vera le parole che diventeranno il titolo del romanzo:
“Con me vita gioca tanto”(p.196).
Le pronuncia mentre, quasi ubriaca, racconta a Nina, quasi ubriaca anche lei, come l’ha partorita. È un momento di grande intensità e di comunione tra le tre donne. Senza telecamera, Ghili prende comunque nota di tutta la conversazione sul suo quaderno magico.
Conclusioni
La storia di Vera è una storia vera che Grossman trasferisce in un romanzo molto bello e coinvolgente, dallo stile teso, incalzante, sferzante e molto emozionante. Le incertezze linguistiche di Vera che non riesce ad abbandonare definitivamente la sua lingua madre, contribuiscono a fare di lei un personaggio autentico e narrativamente molto efficace.
È lo stile di un grande scrittore che riesce ad assumere il ruolo di “io narrante al femminile”. E il risultato è sorprendente!
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