
Azzardo un’ interpretazione del successo di L’anniversario di Andrea Bajani. Comincio dalla fine, con il messaggio che riassume il percorso doloroso del protagonista verso l’ingresso nel mondo adulto:
“E fa bene e non fa male”.
Credo che il romanzo abbia avuto successo, fino ad arrivare a vincere il premio Strega, perché, in qualche modo, mette i lettori in condizione di ritrovarsi in alcuni frammenti del rapporto problematico e conflittuale che caratterizza la famiglia del protagonista, un cerchio di fuoco all’interno del quale accade di tutto. E tutto sembra essere portato all’eccesso, fino allo strappo finale: il distacco di 10 anni dalla fonte del dolore per esercitare il “diritto di non soccombere”
L’uso dell’ Io Narrante e i personaggi senza nome accompagnano egregiamente il processo di identificazione tra personaggio e lettore.
IL PADRE
Ritroviamo qualcosa di noto nella natura patriarcale, tutto sommato molto fragile, di questo padre che forse ha vissuto nella continua ricerca di un’identità, di un posto nel mondo, di un padre. Sembra proprio essere uno dei protagonisti della cronaca di oggi: un manipolatore che fa di sua moglie l’ “oggetto” preferito su cui riversare le proprie frustrazioni, il proprio piccolo potere. Un esempio apparentemente poco significativo? la Settimana Enigmistica. Il premuroso paparino la compra alla mamma per “darle qualcosa da fare”, cosi non disturba i suoi piaceri: leggere, andare a sciare in Francia, arrampicare. Un padre anaffettivo, incapace di gestire i rapporti con i figli, con il maschio in particolare, che ha uno smisurato bisogno di affetto e di una figura paterna in cui rispecchiarsi. E invece, frustrato nei suoi desideri, cova un rancore profondo che condizionerà molte sue scelte esistenziali. La figlia, al contrario, sembra aver capito tutto, da sempre. Ha un’anima ribelle e cerca inutilmente la complicità del fratello per agire insieme. Delusa, troverà appena possibile, il modo di lasciare la casa e iniziare una vita autonoma.
LA MADRE
La madre incarna i comportamenti e le attitudini di molte donne nella sua condizione. Siamo negli anni 70, anni molto conflittuali, quando è già in atto l’ondata di ribellione delle donne che, tuttavia, rimangono in bilico tra una cultura e una formazione decisamente tradizionali e il desiderio di entrare a pieno titolo nella modernità. Ma il femminismo è già una realtà forte e la lotta per i diritti sta già producendo dei frutti.
La madre, infatti, per la prima volta da quando il figlio ricordi, è contenta di poter lavorare nel locale supermecato, anche se per il breve periodo in cui sostituisce la cassiera titolare. Incredibile ma vero: è riuscita a sottrarsi alla morsa soffocante del coniuge. Ma durerà poco, purtroppo.
“Il viso che mia madre ebbe nel periodo del suo impiego al supermercato è così altro che a fatica si salda al resto dei ricordi. Si stacca nettamente dalla versione di sé che poi lei avrebbe scelto o sarebbe stata in grado di adottare…”p.39.
Nonostante lotte e ribellioni, permane in molte fasce della popolazione femminile un atteggiamento consolidato nei secoli. La madre del romanzo è l’emblema della donna sottomessa fino al punto di diventare apatica, rassegnata e quasi priva di emozioni.
“Non ho mai scritto di mia madre. Non ho mai pensato che di lei valesse la pena parlare, né in fondo, l’ho mai fatto con nessuno[…]Anche come corpo, lo era per emanazione di mio padre. Le faccende (la spesa, la cucina, le pulizie venire a prenderci a scuola) erano i fili che-obbedendo al volere di lui-spostavano la sua figura per casa, o nello spazio che separava la casa dal resto. Del suo corpo trattengo solo indizi verbali, e una gamba appena più sottile tra il ginocchio e il malleolo, conseguenza di una poliomelite infantile”. ppgg14-15
LE AMICHE
E nulla possono le amiche, le madri dei compagni di scuola dei bambini. Sono figurine che scompaiono quando il “pater” decide. Due di loro sembrano risolte e ben sistemate nella comfort zone della famiglia patriarcale. Ma la terza no.
“ La terza amica fu invece più tenace, credo di fatto per disperazone. Stava dentro un matrimonio quello sì palesemente compromesso, e con un istinto all’autodistruzione piuttosto sviluppato. le sigarette che fumava ne erano il sintomo più evidente, ma erano anche avvisaglia di una qualche forma di mondanità e di disinibizione. Con lei- e con la famillia di lei-non c’era somiglianza e dunque nemmeno stonatura. Mia madre non doveva sentirsi la versione inadeguata di un modello funzionante. La sua amica era, al contrario, una mina vagante, il che aveva il doppio vantaggio di innalzare l’autostima-la nostra familgia, in confronto alla sua, era persino solida e efficiente-, e forse anche, almeno inizialmente, di assolvere mio padre ai suoi stessi occhi. Rispetto al marito dell’amica, che si disinteressava sia della mopglie che dei figli, il suo prendeva a cuore, se così si può dire, ogni aspetto familiare.” p. 31
La terza amica è una donna libera e consapevole che riesce a creare una breccia nel cuore e nel cervello della madre. L’aiuta a scoprire il tradimento del marito e la spinge a cogliere l’occasione per lasciarlo e iniziare finalmente una nuova vita. Ma anche questa amica farà la fine delle altre figurine. Purtroppo per un cancro che il malefico padre si vanta di aver forse causato, visto che era una donna malvagia.
“Non mi è ancora chiaro se mio padre abbia realmente picchiato mia madre, anche se negli archivi della polizia di Stato ci dev’essere per forza traccia della telefonata, a metà degli anni novanta, con cui il vicino di casa chiedeva l’intervento per le urla e i colpi che sentiva provenire dal nostro appartamento. Non vi fu denuncia, da parte di mia madre, di questo ho la certezza, né dunque inviti a comparire a processo per mio padre, o sentenza di alcun tipo. E anche la ferita sulla testa di lei, che le macchiava i capelli di sangue quando entrai in casa e la vidi seduta con un poliziotto accanto, si rimarginò la notte stessa.” p.64
IL TELEFONO
Il telefono gioca un ruolo da protagonista in questa storia, anche se compare molto tardi nella vita della famiglia. Diventa agli occhi del padre uno strumento pericoloso da tenere strettamente sotto controllo. Anche in questo caso sono sicura che molte persone potranno riconoscersi negli adolescenti sempre al telefono, nei padri che sollecitano la chiusura della conversazione per evitare una bolletta troppo cara. Il telefono resta lì a interpretare il suo ruolo straordinario anche dopo il distacco, anche nel corso dei dieci anni di separazione, affiancato da lettere molto particolari.
LA PSICOTERAPEUTA
Ecco una figura di terapeuta sui generis. Alla faccia di Freud e di Jung! Anche nel suo metodo il telefono é fondamentale. I suoi pazienti possono chiamarla a tutte le ore e lei è sempre pronta a ricevere confessioni, sfoghi, momenti di piacere. Il ruolo dell’analista nella vita del protagonista è molto importante. Lo accompagna, distante ma empatica e sfidante, in un percorso che lo porterà a diventare adulto e a rielaborare le sofferenze della sua esperienza familiare (pensate agli strappi feroci dei peli della barba, a tavola). Ma il percorso lo porta anche a incontrare amiche sincere, donne innamorate, uomini che lo sostengono. Tra questi spicca la pasticciera del quartiere che gioca a fare la psicologa, ma coglie sempre nel segno e l’uomo accoglie i suoi segnali e li usa nel suo percorso di rinascita. A proposito, da lei avrà l’indirizzo della psicoterapeuta.
“ Mio padre mi prese a pugni un pomeriggio estivo, nella casa che sua madre affittava tutti gli anni sul litorale laziale a nord di Roma. Credo fossi adolescente, intorno ia sedici anni. Coltivavo la duplice ossessione delle partite di pallone e della sala giochi. La prima mi dava una specie di fisica alterigia, la seconda mi faceva frugare dentro i portafogli che trovavo in casa. Soprattutto quello di mia nonna, che era più raggiungibile, e lei molto più confusa…Il portafogli di mia madre lo depredavo con più moderazione, sentendoci dietro l’occhio di mio padre…”p.75
Nella durezza del racconto si intravvede una possibilità di uscita e, in fondo, anche di pietà per alcune persone che sembrano inconsapevoli, o che decidono di scegliere vie di fuga più semplici, che non comportino il conflitto continuo. Restare all’ interno dii un nucleo familiare tossico, nell’ illusione di una normalità consolatoria, nonostante la violenza, fisica e psicologica, sia sempre lì, accanto a loro.
Ma fortunatamente, c’è chi dice no: “E fa bene e non fa male”. E poi c’è Parigi…
Consigliato a chi abbia voglia di accompagnare il nostro protagonista nel suo doloroso viaggio di formazione.
