C. McCarthy BLOOD MERIDIAN, Sorry.

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Scusate, ho sbagliato. Errore di valutazione il mio. Avevo sentito parlare tanto di Corman McCarthy,  cose del tipo:

“lo devi assolutamente leggere, è un must della letteratura americana di ogni tempo”.

L’ho visto in biblioteca, era appena arrivato, nuovo di zecca, in lingua originale! L’ho preso in prestito. E l’ho iniziato. Devo dire che dal punto di vista stilistico mi ha sorpreso e catturato: quasi stream of consciousness, super dettagliato nelle descrizioni, iperrealistico nelle sue sfumature slang.

La struttura dei capitoli mi ha ricordato il “padre” Henry Fielding che, nell’ epopea di Tom Jones, introduceva ciascun capitolo con una brevissima sintesi, per orientare il lettore. McCarthy fa lo stesso, ma in modo ancor più stringato, con parole-concetto, essenziali. L’ambientazione è suggestiva e riconoscibile: il confine tra Texas e Messico intorno al 1850.

E fin qui ci siamo, in effetti mi trovo davanti un artista della narrazione. Ma per il resto, ovvero il contenuto, ho qualche perplessità. Il percorso di formazione del giovane protagonista senza nome, the Kid, è attraversato dalle miserie del mondo. E non mi piace proprio.

E allora scusate, ma arrivata a pagina cinquanta, mi fermo, sorry.