Chi non vuole i test a scuola e perchè: sentiamo il parere di Luca Ricolfi

 

Troppi test banalizzano la scuola

Interessante editoriale di Luca Ricolfi (leggi qui) su La Stampa di oggi, relativo alle  prove Invalsi obbligatorie nelle scuole.
Trovo “politically correct” la sua osservazione sul conservatorismo del sistema scuola e sui comuni “fallimenti” sia di governi didestra che di sinistra.

Mi permetto comunque due considerazioni che riguardano i punti Terzo e Quarto della sua analisi.

La Prima rigurada la critica rivolta alla reazione  dei docenti e del sistema al “Concorsone”, proposto a suo tempo dal Ministro  Berlinguer, per verificare le competenze dei professori;
la Seconda riguarda le perplessità dello stesso Ricolfi sul sistema di verifca a base “test”.  Tralascio di considerare il Primo punto su come i test Invalsi possano direttamente e effettivamente influire sulla progressione di carriera dei docenti.

Sorvolo inoltre sul punto Secondo che trovo poco rispettoso dei docenti “classificati”su base regionale e nazionale, sebbene contenga alcuni elementi di verità.
E’ vero che la resistenza dei docenti ad essere valutati e messi in discussione è sempre lì dietro l’angolo, ma una delle ragioni che contribuiscono a questo radicarsi dello status quo è l’evidente incapacità politica di studiare e applicare un sistema di valutazione “rispettoso e scientificamente valido”, che vada oltre le domandine a quiz.  

E’ così difficile prevedere una valutazione autentica, sul campo, che porti commissioni scientifche di ispettori, docenti esperti, tutor di tirocinio (TFA), responsabili universitari di dipartimento  sulla formazione iniziale e continua a verificare sul campo l’operato dei docenti,  anche tramite l’osservazione didattica in classe ?

Quale  migliore opportunità dell’avvio del nuovo Regolamento sulla formazione iniziale e continua?
Certo i test sono più semplici ed economici da somministrare e  “correggere”, ma quanto lasciano dietro di sè!

 Passando agli alunni, condivido in pieno il punto Quarto. L’ho già sperimentato, come docente di Inglese, nella preparazione degli studenti alle certificazioni linguistiche. Il rischio  di trasformare il programma della materia in una Training Agenda finalizzata al superamento della prova è  reale. Questo ha comunque dei lati positivi, visto che i test linguistici verificano competenze diversificate, necessarie  e spendibili nella comunicazione autentica, secondo, peraltro,  i dettami del  CEF o Quadro Comune Europeo  di Riferimento per le lingue. 

E condivido in pieno il Terzo argomento, cruciale da mio punto di vista. Che ne facciamo dei ritmi di apprendimento diversificati? Delle intelligenze multiple? Del rispetto delle individualità? Massifichiamo i risultati correndo il richio di lasciare indietro persone dotate e capaci che avrebbero solo bisogno di un pò di tempo in più per riflettere? La velocità può ammazzare la formazione.

 La riflessione: cosa  è questa sconosciuta? E che il dibattito si apra  e che si apra la porta giusta, anche…